E’ il pezzo d’Italia e d’Europa più a sud del Mediterraneo. Più vicina alle coste africane che a quelle italiane – 60 miglia dalla Tunisia e 120 miglia dalla Sicilia – Lampedusa torna a essere involontariamente famosa ogni anno in primavera quando la guerra sui numeri degli sbarchi, invisibili agli occhi dei turisti che la scelgono come meta, riemerge con il consueto opportunismo per ravvivare il dibattito politico.

Lontana otto ore di nave dal più vicino porto siciliano, quest’isola di frontiera, porta d’Europa, convive con le difficoltà che i luoghi in mare aperto, distanti da tutto, devono affrontare nel quotidiano. E da almeno due decenni vive sulla propria pelle i tentativi deboli, ma soprattutto gli errori e i fallimenti di un’incapacità politica, italiana ed europea, che la gestione del complesso fenomeno migratorio, ormai non più nuovo, evidenzia con prepotenza.

Pochi giorni fa è accaduto quello che accade da 20 anni. D’estate, in giorni di mare calmo e condizioni meteo favorevoli, si è registrato un prevedibile incremento degli arrivi via mare e tutti a gridare all’invasione dell’isola, descrivendola in ginocchio e in pericolo per eventuali contagi da Covid-19. L’invasione di cui si parla fa riferimento al sovraffollamento dell’hotspot di Lampedusa che, con una capienza di 200 posti, è arrivato a ospitare nei giorni scorsi oltre 1200 persone, in aggiunta ad altri migranti ospitati presso la Casa della fraternità gestita dalla parrocchia di Don Carmelo.

Ma nei fatti, e soprattutto nei numeri, di invasione non c’è traccia. Il dato diffusi dal Viminale rispetto al numero di migranti sbarcati dal 1° gennaio al 31 agosto 2020 è di 19.194, che è pari alla somma degli arrivi in tutti i porti italiani, non solo a Lampedusa.

Risalendo al 2017 e al 2016, il cruscotto del Ministero dell’Interno riporta il dato di rispettivamente 99.119 e 115.068 persone sbarcate in quegli anni nello stesso periodo. Insomma quest’anno le persone arrivate sulle nostre coste via mare sono tra il 17% e 19% di quelle giunte 3 e 4 anni fa. Una flessione importante. Tutt’altro che trascurabile.

E quindi come funzionano la cronaca, la narrazione e le politiche che il nostro Paese decide di mettere in campo per gestire i flussi migratori delle persone che qui transitano? Di che numeri sfalsati tengono conto? E’ legittimo parlare di invasione sempre e comunque, senza considerare i numeri e le curve reali? Ed è realistico parlare di emergenza anche per fenomeni che l’Italia, insieme a tanti altri Paesi, vive da decenni?

La facilità con cui il centro di Contrada Imbriacola d’estate ciclicamente si affolla svela la mancanza di un meccanismo collaudato di trasferimenti regolari dall’isola verso i tanti centri di accoglienza distribuiti sul territorio italiano che, costantemente pianificati, garantirebbe invece a Lampedusa una più agevole gestione del flusso di transito, e un impatto più contenuto sull’isola e sulle vite dei suoi residenti. Tutto questo però, ad oggi, non è stato implementato in maniera rigorosa.

Il costante sovraffollamento dell’hotspot rappresenta un problema per molteplici ragioni, e non solo per la facilità con cui alimenta la propaganda. Nel pieno di una fase pandemica, sono proprio le strutture come queste, nelle quali è più difficile garantire il distanziamento sociale e le regole di prevenzione per evitare la diffusione del contagio del virus, che necessitano di un costante monitoraggio per il non superamento della capienza reale.

Nel 2016, scrissi nell’ambito della Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione per migranti una relazione di minoranza sul sistema hotspot e la negazione dello stato di diritto in Europa. Volevo denunciare quanto fossero gravi le condizioni igienico-sanitarie e di alloggio in cui le persone si trovavano. Era già allora palese che il centro di Lampedusa non poteva continuare a funzionare in quelle condizioni strutturali senza che il trattenimento al suo interno fosse considerato trattamento inumano e degradante per le donne, gli uomini e i bambini lì costretti.

Ho ritrovato gli stessi toni allarmati nel recentissimo rapporto e nelle parole del Dott. Cristoforo Pomara che coordina la task force voluta dalla Sanità della Regione Sicilia per valutare condizioni, rischi e soluzioni per gli hotspot e i centri di prima accoglienza in Sicilia. Nella relazione, in riferimento al centro di Lampedusa, si parla di “un rischio imminente e concreto di incolumità, per tutti. Per gli ospiti e per il personale delle forze dell’ordine che ci lavora. Ci sono condizioni contrarie a tutte le regole di prevenzione delle patologie diffusive. Non soltanto Covid. Ma anche epatiti, Hiv, scabbia, tubercolosi”.

Quello che suona strano è che in questi 4 anni nessuna task force della Regione Siciliana si sia preoccupata del problema che esisteva prima e continua ad esistere anche adesso. Le domande che mi faccio, oggi come ieri, sono sempre le stesse: come possiamo lasciare ammassate migliaia di persone in queste condizioni vergognose? Avremmo mai il coraggio di farlo con donne e uomini con passaporti europei? Sono sicuro di no.

Se pensiamo che si possa definire accoglienza il trattamento disumano che riserviamo, sul nostro territorio, a coloro che migrano dai Paesi africani, allora stiamo sbagliando tutto. Allora abbiamo già fallito rispetto al tentativo ambizioso di trovare una nuova strada per rivedere le politiche migratorie di questi anni e di quelli futuri. E’ un errore, una catena di errori, che occorre interrompere ora. Abbiamo accumulato un colpevole ritardo che alimenta facilmente propagande e spinte xenofobe. Un sistema di accoglienza disfunzionale infatti crea problemi di integrazione e di conseguenza fa crescere il disagio sociale delle persone migranti e delle comunità che accolgono.

Gli essere umani da sempre si spostano e continueranno a farlo. I flussi migratori, il bisogno e il desiderio di movimento delle persone non si possono cancellare. Chi promette di farlo mente. E chi crede a queste promesse è parecchio ingenuo.

E’ arrivato il momento di provare a gestire le migrazioni con un approccio sistemico non emergenziale, in un quadro di collaborazione e responsabilità europea, con obiettivi progressivi pianificati sul medio-lungo termine, in una visione più ampia e complessiva. Il Mediterraneo deve tornare al centro dell’agenda politica europea e il nostro Paese deve assumersi la responsabilità di un ruolo più rilevante con l’obiettivo di dare una spinta nuova alla gestione dei flussi, garantendo la tutela dei diritti umani e una gestione più razionale del fenomeno.

Non è più tempo di giocare a nascondino su temi centrali come i decreti sicurezza e la necessità della loro revisione, per fini elettorali. Ridisegnare, alla luce degli errori fatti, nuove ed efficaci politiche per la gestione dei flussi migratori, per la tutela dei diritti degli esseri umani in movimento e per la lotta alle disuguaglianze è la grande sfida che ci aspetta nei prossimi mesi.
E che stavolta non può trovarci impreparati.

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