Nonostante i numeri su come cambierà il rapporto tra eletti e abitanti dopo il referendum parlino chiaro, sono ancora in tanti tra politici, giornali e costituzionalisti a sostenere che in caso di vittoria del Sì “il nostro Paese sarà ultimo in Europa per rappresentanza”. Lo hanno fatto il portavoce delle Sardine Mattia Santori, l’ex presidente della Consulta Giuseppe Tesauro e negli ultimi giorni anche il quotidiano La Repubblica. Ma ora a mettere un punto fermo sulla questione è l’istituto Cattaneo, autore di uno studio sugli effetti del taglio dei parlamentari e sull’eventuale composizione delle Camere in caso di via libera anche alla legge elettorale. “Oggi, in Italia, abbiamo 16 parlamentari per ogni milione di abitanti, se passasse la riforma diventerebbero 10. Sarebbero un po’ meno che in Polonia (15), Francia (14), Spagna (14), Canada (13), se contiamo anche ‘senatori’ che non svolgono funzioni di rappresentanza popolare e che hanno un ruolo del tutto marginale nel processo legislativo”, si legge nel dossier. “Se invece confrontiamo solo i parlamentari a tempo pieno e con pieni poteri legislativi, l’Italia post-riforma si colloca in linea con questi altri Paesi europei”.

Quando si calcola il rapporto eletti-abitanti, quindi, bisogna tenere conto sia dei 400 deputati che dei 200 senatori. E non solo i membri di Montecitorio, come sostenuto da chi è schierato a favore del No. Il motivo, come già ribadito da Ilfattoquotidiano.it, è che “in Gran Bretagna e Canada i ‘senatori’ sono nominati a vita, in Francia, Germania e (in parte) in Spagna sono espressione di amministratori locali o governi regionali. In Gran Bretagna, Polonia, Francia, Spagna, Canada hanno un ruolo effettivo nel processo legislativo quasi esclusivamente con riguardo alla modifica di norme di rango costituzionale“. Diverso è il caso dell’Italia, chiarisce l’istituto, dove “le funzioni di rappresentanza popolare, controllo del governo, partecipazione al processo legislativo sono condivise – perfettamente alla pari – da deputati e senatori”.

Anche Merkel e Macron per il taglio degli eletti – Senza contare che anche Francia e Germania lavorano per tagliare i membri dei rispettivi parlamenti. Il progetto del presidente Macron “prevede un taglio del 25% dei componenti sia dell’Assemblea Nazionale che del Senato”. A quel punto “saremmo in linea con la Francia anche considerando il numero totale”. A Berlino, invece, la camera bassa (Bundestag) è composta da un minimo di 598 membri “che possono crescere per effetto dei seggi eccedenti conquistati dai partiti maggiori nei collegi uninominali e dei seggi dati per compensazione proporzionale ai partiti minori”, spiegano gli esperti del Cattaneo. “Nel 2017, a causa dell’elevata frammentazione, si è arrivati a 709, un numero considerato in Germania unanimemente eccessivo, tanto che sia la Cancelliera Merkel sia i socialdemocratici hanno proposto una revisione del sistema elettorale per evitare che si ripeta il caso di ‘un parlamento di taglia XXL‘”. Anche estendendo lo sguardo oltre ai confini dell’Ue, “i parlamentari italiani sono e resterebbero di più, in rapporto alla popolazione, dei parlamentari di tutti gli altri grandi paesi democratici extra-europei“.

Il confronto in valori assoluti – Il divario è ancora più ampio se si considera il numero degli eletti in valori assoluti. Con 945 membri, “il parlamento italiano risulta terzo, solo dopo l’Assemblea nazionale del popolo cinese, che non è un vero e proprio parlamento, in quanto i suoi componenti si riuniscono in plenaria per una sola sessione annuale e sono sostanzialmente chiamati a confermare le scelte adottate dai vertici del partito comunista, e del parlamento britannico, se si contano anche i circa 800 Lord a vita che ovviamente non sono stati eletti”. A eccezione di questi due casi peculiari, chiarisce l’istituto, “quello italiano risulta quindi oggi il parlamento nazionale con il più alto numero di componenti al mondo“.

Cosa cambia con la nuova legge elettorale – Archiviato il nodo della rappresentanza – che secondo il Cattaneo “è stato oggetto di comunicazioni confuse e fuorvianti” – lo studio si concentra su cosa potrebbe succedere in Italia qualora passassero sia il referendum, sia la legge elettorale proporzionale frutto dell’accordo tra i partiti di maggioranza. Una riforma, questa, su cui il segretario dei dem Nicola Zingaretti chiede di accelerare per poter dare l’eventuale via libera del suo partito al Sì. Le simulazioni tengono conto della media dei sondaggi condotti nel mese di agosto e si basano su due diverse ipotesi: che la soglia di sbarramento per i partiti più piccoli venga fissata al 5%, come previsto dal progetto targato Giuseppe Brescia (M5s), oppure che venga abbassata al 3%. “In entrambi i casi i partiti di centrodestra avrebbero una risicata maggioranza di seggi sia alla Camera che al Senato (tra il 51% e il 55%)”, si legge nel documento. “In tutti i casi, nella costruzione della maggioranza risulterebbe determinante Forza Italia che, pur indebolendosi sia in termini di voti che di seggi rispetto alle elezioni del 2018, potrebbe controllare una quota di parlamentari decisiva per la formazione di un governo di centrodestra. E questo varrebbe sia alla Camera che al Senato”.

Nel campo di un’eventuale coalizione tra Partito democratico e Movimento 5 stelle, invece, con uno sbarramento al 3% “si assisterebbe all’aumento della frammentazione parlamentare perché accederebbero alla ripartizione dei seggi anche Italia viva di Matteo Renzi, Azione di Carlo Calenda e la lista di sinistra (Leu+La sinistra)”. Il risultato è quello di un sostanziale “stallo” a Montecitorio, mentre a Palazzo Madama “continuerebbe a prevalere” il centrodestra. “In ogni caso”, chiarisce il Cattaneo, “mantenendo un bicameralismo simmetrico e paritario, con entrambe le camere chiamate a dare la fiducia al governo, l’introduzione di un sistema elettorale proporzionale renderebbe sempre più determinanti i partiti “minori” di centro (come Forza Italia, Azione o Italia viva), in grado di condizionare, con il loro ‘potere di ricatto’, la formazione e la sopravvivenza dei governi“.

L’ultimo scenario: rimane il Rosatellum – L’ultimo scenario ipotizzato dal dossier è quello di un Parlamento da 600 membri eletto con l’attuale legge elettorale basata su un sistema misto, cioè il Rosatellum. “Al contrario di quanto viene dato spesso per scontato nel dibattito pubblico, dopo la riduzione del numero complessivo dei parlamentari, il grado di ‘disproporzionalità’ (la distorsione tra percentuale di voti ricevuti da ciascun partito o coalizione e corrispondente percentuale di seggi) della legge elettorale attualmente in vigore resterebbe sostanzialmente inalterata”. A patto che, si legge, “venga effettuato l’adeguamento tecnico del numero e del perimetro dei collegi”. Il taglio dei parlamentari, quindi, “non altererebbe le probabilità di vittoria di ciascun partito o coalizione in ogni collegio”. I partiti minori avrebbero maggiori difficoltà a ottenere seggi con la quota proporzionale nelle Regioni più piccole, ma “si tratterebbe di un effetto marginale e facilmente attenuabile eliminando, solo in quelle regioni, i collegi uninominali”. Con la legge Rosato o con il Mattarellum, quindi, “si potrebbe determinare una chiara, confortevole maggioranza, alla Camera e al Senato, di uno dei due schieramenti. Si tratterebbe con più elevata probabilità dello schieramento di centrodestra”.

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