Lo sport americano si è fermato. Qualche giorno fa nel Wisconsin un poliziotto ha sparato, mentre era di spalle, sette colpi al giovane afroamericano Jacob Blake, ferendolo gravemente. Ad appena tre mesi dopo la morte di George Floyd in Minnesota e il suo “non riesco a respirare” indirizzato agli agenti che lo avevano immobilizzato. Gli afroamericani dello sport hanno deciso così di boicottare intanto il basket, il baseball, il calcio e il tennis. I primi a farlo sono stati i Milwaukee Bucks impegnati in gara-5 dei playoff Nba contro gli Orlando Magic. Poi li hanno imitati i cugini Brewers nel baseball, a pochi chilometri da dove Jacob Blake è stato ferito. Per comprendere perché tutto inizia con i Bucks, nonostante siano tra i favoriti per il titolo e manchino dai vertici del basket americano da diversi decenni, non basta ricordarsi che l’ultima violenza della polizia contro un afroamericano è avvenuto in Wisconsin.

Con i Bucks gioca Sterling Brown, guardia di 25 anni che nel gennaio del 2018 era stato fermato a Milwaukee per un controllo della polizia e poi in seguito ad un diverbio con gli agenti atterrato e colpito con una scarica di taser, quindi arrestato per resistenza al pubblico ufficiale. Era girato il video dell’episodio e qualche mese dopo il Dipartimento di polizia era stato costretto ad ammettere la condotta inappropriata degli agenti. Ma il giocatore, nemmeno dopo che la città gli aveva proposto un risarcimento di 400mila dollari, aveva abbandonato la causa legale. “C’è una cosa che hanno sottovalutato: io non sto in silenzio”, ha raccontato poche settimane fa a Players Tribune.

Nelle scorse ore è stato proprio lui a leggere, insieme al compagno George Hill, il comunicato: “Chiediamo giustizia per Jacob Blake, chiediamo che i responsabili paghino. E per far sì che ciò sia possibile, chiediamo che i legislatori dello stato del Wisconsin agiscano dopo mesi di parole e prendano misure per la responsabilità degli agenti e contro la brutalità della polizia, e per una riforma del sistema penale”. Una posizione, quella assunta dai giocatori, sposata dalla proprietà dei Bucks, che ha assicurato di essere stata fino all’ultimo all’oscuro della decisione che i suoi atleti stavano per assumere ma di appoggiarli al 100 per cento.

In prima fila accanto a Brown, tra i volti noti della Nba, c’è l’allenatore dei Los Angeles Clippers Doc Rivers, scoppiato in lacrime parlando delle violenze e del razzismo negli Usa: è la terza volta che si mostra in pubblico mentre piange, gli era già successo dopo la morte di Kobe Bryant e l’uccisione di George Floyd. Lebron James intanto ha scritto un tweet in cui, anche senza nominare il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, è stato sufficientemente chiaro: “Vaffanculo, a quest’uomo chiediamo un cambiamento, siamo stufi”, ha digitato la stella dei Los Angeles Lakers che nelle scorse ore, raccontano i media Usa, è stato tra i principali sponsor di uno stop definitivo alla Nba.

Poi dopo il calcio, anche la tennista di colore Naomi Osaka, numero 10 al mondo e due Slam vinti in carriera, ha detto stop mentre stava giocando un torneo a New York: “Prima di essere una giocatrice, sono una donna nera. Sento che ci sono cose più importanti e che hanno bisogno di più attenzione rispetto a me che gioco a tennis. Guardare il continuo genocidio della gente di colore per mano della polizia mi dà il voltastomaco”, ha scritto l’atleta rifiutandosi di scendere in campo per la semifinale.

Il 31 ottobre prossimo saranno 70 anni dall’esordio nel campionato statunitense di basket del primo afroamericano. Nelle quattro stagioni precedenti i giocatori erano tutti bianchi. Nel 1950 Earl Lloyd giocò con i Washington Capitals a Rochester, fece 6 punti e catturò 10 rimbalzi, subendo parecchie offese razziste dal pubblico. In Nfl le stagioni senza neri furono dal 1920 al 1946 e nel campionato di baseball dal 1869 al 1947. I neri nel frattempo avevano combattuto nella Seconda Guerra Mondiale e si aprirono per loro anche le porte dello sport professionistico. Oggi l’Nba ha circa il 75 per cento di atleti neri. Sono proprio loro adesso a dire basta.

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Perché il boicottaggio Nba è una scelta storica: dai Giochi di Hitler al Mondiale del ’78, tutte le volte in cui lo sport ha solo minacciato lo stop

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