Per una donna non è facile essere identificata come chirurgo, soprattutto con i dottori più anziani che di donne in chirurgia non ne hanno mai viste tante”. Greta (nome di fantasia) è specializzata in Chirurgia generale e lavora in un ospedale in provincia di Grosseto, Toscana. Ama il suo lavoro, per questo dice di non aver mai voluto dare peso a certi atteggiamenti “maschilisti” nei suoi confronti. “Non è ancora il momento per noi – aggiunge Elena, specializzanda al quarto anno – quando saranno strutturati gli specializzandi di oggi allora potremmo dire davvero basta”. Le sale operatorie stanno cambiando: il numero delle dottoresse è cresciuto. A non cambiare, però, sono gli episodi di maschilismo, nella scelta di chi tiene il bisturi o a chi destinare un contratto di lavoro. A raccontarlo alcune specializzande e chirurghe che hanno preferito rimanere anonime.

“Brava, ma femmina” – Dal 1998 al 2018 non c’è stato un anno in cui non sono state ammesse più donne che uomini all’Esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione medica, accessibile dopo la laurea in Medicina e chirurgia. Secondo i dati della Federazione nazionale degli ordini dei medici e chirurghi (Fnomceo), nel 2019 gli uomini iscritti ai 106 Ordini provinciali (iscrizione che avviene a seconda di dove si lavora o si risiede) sono il 58%, ma questo solo perché dalla fascia di età 55-75 è confermata l’immagine dell’uomo brizzolato in camice bianco. Dai 25 ai 54 anni, invece, sono più le donne a intraprendere la carriera sanitaria. “La chirurgia è maschia – dice Giulia, una specializzanda all’ultimo anno – gli strutturati (uomini) preferiscono gli specializzandi maschi. Non ci considerano allo stesso livello, e lo fanno percepire in molti modi. Si fidano di più dei colleghi uomini, li ritengono più bravi anche quando non è così. Mi sono sentita dire ‘sei brava peccato che tu abbia un difetto, sei una femmina”.

Tra i tre indirizzi che l’ambiente offre (Clinico, Medico e Chirurgico), è evidente la preferenza delle dottoresse verso le prime due aree. “È difficile verificare che ci siano atteggiamenti maschilisti a spingere le donne a lavorare in certe specializzazioni – dice Carla, specializzanda a Pavia – Ci sono lavori che sembrano accordarsi meglio con la figura della donna, o meglio della mamma. Fare il chirurgo non è uno di questi”. Nel 2018/2019, secondo i dati del Miur, il ministero dell’Istruzione, le donne che intraprendono una specializzazione medica (per esempio Cardiologia, Dermatologia, Geriatria ecc.) sono il 60% e una clinica (Anatomia patologica, Radioterapia, Igiene e medicina preventiva ecc.) sono il 56%. Le iscritte a Chirurgia (come Chirurgia generale, Cardiochirurgia, Neurochirurgia), invece, sono in media il 46%. “Penso che le specializzazioni chirurgiche – racconta Anna, una specializzanda che lavora nel reparto di Chirurgia generale a Palermo – siano di gran lunga più sessiste delle cliniche. Credo sia legato alla prestazione che si compie eseguendo un intervento che prevede delle capacità manuali più che mentali e forse l’uomo si è sempre ritenuto superiore in questo”.

Rispetto a venti anni fa, però, la quota rosa in sala operatoria è aumentata. Nel biennio 1998/1999 su 7237 specializzandi iscritti solo il 30% erano dottoresse: il picco, 49%, è stato raggiunto nel 2011/2012. I numeri quindi non sono più il solo “problema”, segnalano le specializzande. “Ci si ritrova spesso in realtà lavorative dove tutti gli strutturati sono uomini o le donne sono relegate in Senologia (considerata da sempre ‘adatta alle femmine’) – racconta Carla – o a ruoli di compilazione cartelle, gestione reparto, con poco spazio in sala operatoria. Al momento delle assunzioni vengono preferiti i colleghi maschi, perché noi corriamo il rischio di rimanere incinte (non sia mai!) e questo viene visto come un atto di poca serietà, del non voler imparare”.

Il maschilismo non è sempre evidente, poi, sottolinea Carlotta, specializzanda all’ultimo anno. A volte si insinua in atteggiamenti, affermazioni. E questo avviene non soltanto tra colleghi, ma anche tra i pazienti, giovani e anziani, abituati o rilegati all’immagine di un camice maschile. “Spesso mi chiamano ‘signorina’ e sono io a dover ricordare loro di essere un medico, il loro chirurgo”. Oppure si tratta di uno scherzo, una battuta. Spesso comincia tutto così, con atteggiamenti apparentemente innocenti. Poi, però, quelle attitudini si trasformano in azioni concrete. “Si parte in genere con dei commenti idioti per arrivare alle allusioni sessiste che sono pane quotidiano in ogni sala operatoria – racconta ancora Greta – Alla lunga stancano le persone insicure, si finisce per cambiare specialità. Non tanto per le piccole cattiverie, ma proprio perché ci si sente continuamente escluse dal tavolo operatorio, tanto che condividere la sala per ore con certi personaggi può rasentare la tortura”.

Alcuni bisturi sono più rosa di altri – Ai due estremi, le donne fanno nascere i bambini e gli uomini aggiustano le ossa rotte. Ginecologia e ostetricia è, infatti, la specializzazione chirurgica ogni anno più scelta dalle donne: dal 1998 al 2019 in media le dottoresse sono il 76%. Quella meno scelta, invece, è Ortopedia e traumatologia, dove le dottoresse sono solo il 21%. “Si pensa che la donna non sia adeguata a certe specializzazioni, perché gli interventi sono più lunghi e più impegnativi da un punto di vista fisico, come se davvero noi avessimo bisogno del pannolone se non si può andare in bagno. Questa è l’idea di fondo dei maschi”, aggiunge Greta. Capita che le braccia femminili non vengano prese in considerazione per procedure che richiedono forza fisica. “Se sei di turno per un intervento di Ortopedia ed è disponibile anche il collega maschio, il chirurgo primo operatore uomo chiede il suo aiuto nella procedura perché ritiene sia meglio contare sulle braccia maschili”, dice Camilla specializzanda al terzo anno in chirurgia. “Io ho sempre voluto fare chirurgia, per questo non mi interessa quando mi chiamano infermiera anche se indosso il camice – dice Arianna, una delle cinque specializzande in Chirurgia ortopedica nella sua struttura – o se vado in sala operatoria e lo strutturato spiega solo allo specializzando maschio. Io so quello che voglio e ho già messo in conto che devo dimostrare di essere brava molto di più degli uomini”. Non sorprende, invece, che le iscritte a Urologia siano in media solo il 23%: la specializzazione infatti si posiziona penultima, tra quelle dell’area chirurgica, per percentuale femminile.

E poi ci sono alcune sale operatorie che diventano sempre più rosa. I dati sono positivi, soprattutto riguardo quelle branche chirurgiche da sempre considerate “più da uomini”: se in media la percentuale femminile è ancora bassa, presentano però una crescita femminile più che promettente. Come nel caso di Chirurgia orale: in media solo il 26% delle dottoresse sceglie di specializzarsi in questa branca, ma ogni anno le iscritte aumentano del 24%. Seguono Cardiochirurgia, Chirurgia maxillo-facciale e Neurochirurgia, anche loro ancora lontane dalla gender equality (intorno al 30% in media di donne), ma registrano un aumento di iscritte in media del 9% la prima e il 6% le altre due. D’altra parte, a dare ulteriore speranza di un prossimo riequilibrio dei generi è Chirurgia pediatrica, la seconda specializzazione per percentuale di donne (in media 62%): negli ultimi vent’anni la quota rosa è diminuita in media del -2%.

Anche le Regioni discriminano – In Italia nel 2019 sono 1.100 le Scuole di specializzazione sanitarie, accreditate dal ministero dell’Istruzione e dal ministero della Salute. Alcune regioni presentano più corsi di specializzazione di altri tra l’area medica, clinica e chirurgica. La Sardegna è l’isola delle donne che operano: tra le Regioni d’Italia è quella con la percentuale di iscritte a Chirurgia in media più alta, il 48%. Sorprende Urologia che registra negli ultimi tre bienni analizzati il 40% di iscritte donne (mentre in Italia è il 24%). La Campania è, invece, la regione più maschilista di tutte. Negli ultimi vent’anni in media solo il 35% degli iscritti a Chirurgia è donna. La crescita della Campania, comunque, fa ben sperare, a differenza della Sardegna che rimane stabile. Al di sopra della media italiana, la Campania ha infatti un tasso di crescita di iscritte in media del 4%. E poi ci sono regioni come la Calabria, che tuttora è seconda alla Campania con la percentuale più bassa di donne (in media 36%), ma è tra i tre territori con la crescita di iscritte maggiore. Dopo Lazio (+15%) e Piemonte (+11%), negli ultimi vent’anni le dottoresse in Calabria sono aumentate del 9%.

Pareri contrastanti – Non tutte o non tutti pensano che ci sia una discriminazione di genere all’interno delle sale operatorie. “Non mi è mai capitato che un paziente preferisse me come medico rispetto a una mia collega”, afferma Alberto, un dirigente medico (figura sottostante quella del Primario) di Pescara. Anzi, aggiunge, che il calo delle iscrizioni nell’ambito del bisturi riguarda entrambi i sessi ed “è dovuto al rischio professionale elevato e alla qualità di vita dei chirurghi stessi. Indubbiamente è una branca della medicina che ha coinvolto maggiormente il sesso maschile, ma nella mia personale esperienza durante la specializzazione ho notato un trend contrastante a quello che registra un ambiente prevalentemente maschilista”.

Completamente in disaccordo è Maria, dottoressa di Palermo: “Si vive costantemente all’interno di un ambiente goliardico e sessista in cui la maggior parte dei riferimenti è a sfondo sessuale e ogni occasione è buona per pensare alla donna come oggetto sessuale”. Alcuni primari continuano a preferire al loro fianco specializzandi maschi. A meno che le donne, parola delle chirurghe, lavorino il triplo (come spesso accade) o peggio, fungano da vallette. “Quando devono offrirti un contratto determinato – racconta invece Gianna, una dottoressa in Chirurgia generale – pensano ovviamente all’eventualità che tu possa restare incinta. E quando succede, ti senti quasi in colpa, perché poi i colleghi devono sostituirti ma senza essere pagati di più”. Non è vero che la sala operatoria non è un’ambiente per donne, “ma di certo non è un posto per deboli”, aggiunge Arianna.

I dati parlano da soli. Il mondo chirurgico sta cambiando. Tuttavia i passi da fare sono ancora molti. “Non consiglierei mai a mia figlia la chirurgia. Sarebbe infatti costretta a subire traumi insostenibili. Siamo ancora agli inizi”. Parola di una mamma chirurgo.

I dati in possesso della Fnomceo provengono dai flussi informatici dei singoli Ordini provinciali. Non possono però ritenersi completi ed esaustivi. I dati sugli iscritti alle specializzazioni del 2018/2019 del Miur sono invece ancora provvisori. L’inchiesta fa parte di un lavoro pubblicato e realizzato per la testata della scuola Ifg di Urbino, Il Ducato.

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