Da Temptation Island, trasmissione Mediaset nella quale coppie di innamorati mettono alla prova il loro rapporto, l’ex calciatore Lorenzo Amoruso ne è uscito come uno dei vincitori morali. Assieme alla compagna Manila Nazzaro, nel 1999 Miss Italia, si è imposto puntata dopo puntata tra i concorrenti preferiti dai telespettatori e sui social. Cresciuto nel Bari, Amoruso è stato un ottimo difensore centrale negli Anni Novanta e Duemila, prima alla Fiorentina e poi nei Glasgow Rangers, dove è passato alla storia come il primo capitano di fede cattolica in un club che è espressione della parte protestante della città. Non era alla prima esperienza di questo tipo in tv. Oltre ad avere fatto l’opinionista in programmi sportivi, è stato protagonista di Squadre da Incubo con Gianluca Vialli e di Masterchef Vip. In questo momento ci sono voci che possa diventare ospite fisso di Uomini e Donne.

E il calcio, Amoruso?
È il primo amore, vorrei tornare nel mio mondo. Ma ora non ci sono le condizioni. Mi piacerebbe che un club mi desse la possibilità di esprimermi come direttore sportivo, ruolo che oggi si è semplificato rispetto ai miei tempi dove c’era un uomo solo al comando a doversi inventare il mercato e tutto il resto senza grossi aiuti. Adesso la condivisione di idee con i vari collaboratori semplifica per certi versi le cose. Io mi sento pronto.

E la tv?
Al gossip ho sempre preferito la privacy. Ma la mia donna voleva mettermi alla prova e ho accettato di partecipare a Temptation Island. Credo sia uscita la mia vera indole: serietà, schiettezza e tanto cuore. Esiste purtroppo ancora il luogo comune del calciatore arrogante, con il cervello nei piedi.

Prima del falò di confronto con Nazzaro ha detto: “Non ho mai avuto paura di perdere contro nessuna squadra, neanche con le più forti. Ma quando ci sono i sentimenti…”
Quando devi fare affidamento sulle tue qualità in campo è una cosa, basta dare il cento per cento. Ma in amore devi fare i conti con dinamiche diverse, l’orgoglio e le ripicche per esempio. La paura che la storia con Manila potesse chiudersi era tanta. Sì, ero agitato e preoccupato.

A Firenze ha vinto Coppa Italia e Supercoppa, ma è stata a Glasgow l’esperienza della carriera. L’episodio della fascia da capitano entra nella storia del calcio internazionale.
Negli Anni Novanta un italiano all’estero faticava a imporsi. Perché spesso noi pecchiamo di presunzione. Il confronto con un’altra cultura invece mi ha fatto crescere a livello umano. All’inizio non è stato facile, soprattutto con la stampa. Ai tifosi ho detto subito che mi dovevano giudicare per quello che davo in campo e non per il crocifisso che portavo al collo. Io ho continuato anche in Scozia a farmi il segno della croce prima di ogni partita, invece che sul terreno di gioco preferivo farlo nel tunnel degli spogliatoi. Per evitare polemiche. Io avrei dato il cuore per il club, l’hanno capito tutti e così c’è stato amore e rispetto fino all’ultimo giorno.

Le avevano chiesto di esordire in Nazionale scozzese?
Sì e mi sarebbe piaciuto molto, ma avevo due presenze con l’Under 21 italiana e al tempo il regolamento non me l’ha permesso.

Oggi segue ancora i Rangers?
Solitamente vado in Scozia 5-6 volte all’anno. Là ho molti amici e una chat molto attiva con gli ex compagni. Se quest’anno il Celtic vincesse il campionato, sarebbero dieci di fila. Ten in a row, si dice. E per i Rangers sarebbe un record negativo. Speriamo che i ragazzi di Gerrard sappiamo riscattarsi. Lo scorso anno sono andati bene negli scontri diretti e fino a gennaio se la sono giocata alla pari. In questo campionato devono essere più continui, anche perché difficilmente ci potrà essere una terza squadra a interrompere il dominio dei rivali.

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