Emanuela Corda, deputata Cinque Stelle, ieri si è ritagliata uno spazietto nella storia con l’approvazione alla Camera della proposta di legge sui sindacati militari che porta il suo nome. Certo, c’è ancora il passaggio al Senato ma, considerando l’impenetrabile blindatura esibita dalla maggioranza nella votazione finale, le condizioni per un passaggio indolore ci sono già tutte.

Solo Erasmo Palazzotto di LeU ha provato a obiettare, in particolare sull’articolo che sottrae al giudice del lavoro la competenza a giudicare eventuali contenziosi. Ma l’ha fatto sottovoce, per così dire, senza comunque disturbare il manovratore perché comunque alla fine ha votato a favore.

Non parliamo del Pd, al quale si potrebbe applicare in questo caso l’abusata espressione “dell’assordante silenzio”. Al partito di Nicola Zingaretti va certo riconosciuto il merito di aver imposto una rilettura del testo ottenendo, in occasione del precedente passaggio in aula alla Camera, il ritorno all’esame della Commissione. Con qualche risultato, come ad esempio la cancellazione dell’autorizzazione ministeriale alla costituzione di sindacati militari. Norma che anche un leghista post-mojito capisce come sbatta contro la Costituzione, dove ben due articoli, il 18 e il 39, affermano questo basilare principio di libertà.

Per il resto il Pd, ancora sotto effetto delle droghe renziane, si è messo alla Jannacci a vedere l’effetto che fa. Il che, quando si parla di diritti, non è un bel vedere. D’altra parte Marianna Madia, che venne chiamata a fare il ministro mentre stava guardando Peppa Pig in tv, è nella segreteria del Pd di Zingaretti: difficile dimenticare che porta il suo nome la controriforma che militarizzò il corpo forestale dello Stato e lo trasferì ai Carabinieri. Ironia: nel Pd l’onorevole Madia si occupa di innovazione.

D’altronde le motivazioni che il piddino Alberto Pagani ha portato per giustificare, ad esempio, le maggiori limitazioni che questa legge pone rispetto a quella sui sindacati di polizia puzzano lontano un miglio di excusatio non petita. Dice Pagani, in sede di dichiarazione di voto, che le differenze si giustificano perché da una parte abbiamo “lo stormo, la squadra navale e la brigata” mentre per la polizia parliamo di piccole unità organizzative. Dimenticando che la legge passata ieri alla Camera riguarda anche carabinieri e finanzieri, anzi riguarda soprattutto questi ultimi che sono quasi 180 mila contro 150 mila soldati in senso stretto. Se questo è il livello di competenza…

Le opposizioni, sempre nell’ottica di non disturbare il manovratore, si sono fatte respingere tutti gli emendamenti. Solo un isolato deputato di Forza Italia, Paolo Russo, ha denunciato il rischio di costruire un “sindacato giallo: un sindacato gradito, un sindacato ossequiente, un sindacato ossequioso, un sindacato capace di esprimere sì talune posizioni, ma non oltre il limite, e il limite sarà esattamente quello che i padroni di turno vorranno”. Ma dal resoconto del dibattito risulta che nessuno lo abbia applaudito.

Comunque, qui siamo arrivati. Inutile dire che tra gli interessati (cioè i militari) le reazioni sono state immediate e non entusiaste. Persino il Cocer, che dopo essere rimasto ingrugnito per mesi in attesa della sua morte annunciata, si è improvvisamente svegliato e ha chiesto all’unanimità di essere audito al Senato. Dure le reazioni di qualche delegato. “Mi chiedo se i parlamentari non sentano un senso di frustrazione visto che quel testo ai militari non piace”.

“Malissimo i contenuti che di fatto ridurranno i diritti, il ruolo e le tutele dei delegati sindacali” commenta arrabbiato Antonello Ciavarelli, delegato della Guardia Costiera. E Pasquale Fico, grintoso maresciallo del Cocer che ha fatto quattro scioperi della fame, dice che “questa legge piacerà senz’altro ai militari, ma quelli con le greche che sanno già come difendere i propri diritti”.

Tra i sindacati già costituiti c’è delusione e rabbia. In un comunicato il Nuovo sindacato carabinieri dice che “se questa legge rimanesse tale e quale, il nome della deputata Corda sostituirebbe nell’immaginario collettivo quello della Fornero”. Altre sigle esprimono concetti analoghi a volte in maniera alquanto ruvida.

D’altronde bisogna riconoscere che dietro la battaglia per il sindacato non si è riusciti a raccogliere l’opinione pubblica. Stando alla rassegna stampa della Camera di stamani nessun giornale ha parlato dell’approvazione (sia pure in prima lettura) della legge. Idem per le rassegne stampa delle forze armate che non riportano alcun ritaglio.

Eppure sono gli stessi giornali che di solito si riempiono la bocca di superlativi, gli stessi che si compiacciono nello scrivere i “nostri ragazzi” dimenticando, per inciso, che di “ragazzi” nelle forze armate non ce ne sono tecnicamente più. Sono professionisti e come tali andrebbero considerati, anche per quanto riguarda la tutela sindacale. Direste i ragazzi dell’Ilva? I nostri eroi di Mirafiori? Se vi venisse in mente vi ritrovereste una chiave inglese tra i denti prima di aver finito la frase.

Qualche giorno fa, parlando della questione sindacale militare con Giuseppe Massafra della segreteria confederale della Cgil, abbiamo brevemente discusso anche della sensibilizzazione dei lavoratori sul tema. Massafra nega che ci sia sottovalutazione da parte delle organizzazioni sindacali. “Abbiamo ben presente la questione, a tutti i livelli” dice, e promette iniziative a breve soprattutto sul piano del supporto logistico e organizzativo, un ostacolo non indifferente alla crescita reale del sindacato dei militari. Ma, ammette, dobbiamo confrontarci con una ostilità molto forte da parte dei vertici e un esplicito divieto per i nuovi sindacati a coordinarsi con altre strutture sindacali.

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