Da mesi ong e associazioni locali avevano lanciato l’allarme. E oggi l’Organizzazione mondiale della Sanità conferma con dati ufficiali l’impatto della pandemia di coronavirus, che sebbene “colpisca le persone di ogni ceto sociale”, aggredisce in particolare “le persone più povere e vulnerabili del mondo sono particolarmente a rischio. Questo è vero per le popolazioni indigene di tutto il mondo, nelle aree urbane o remote“. Proprio tra loro, ha spiegato il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus riferendosi alle “popolazioni indigene delle Americhe”, “a partire dal 6 luglio sono stati segnalati oltre 70mila casi di Covid-19 e oltre duemila morti. Più di recente, sono stati segnalati almeno sei casi tra il popolo Nahua, che vive nell’Amazzonia peruviana”. Una situazione preoccupante che si intreccia a questioni di sfruttamento economico e ambientale dei territori in cui vivono, tanto da spingere l’Articolazione dei popoli indigeni del Brasile (Apib) a parlare di “un concreto rischio di genocidio.

“Ci sono fino a 500 milioni di popolazioni indigene in tutto il mondo, in oltre 90 paesi – ha aggiunto Ghebreyesus -. I popoli indigeni hanno culture e lingue uniche e relazioni profonde con l’ambiente. Come altri gruppi vulnerabili, affrontano molte sfide. Ciò include la mancanza di rappresentanza politica, l’emarginazione economica e la mancanza di accesso alla salute, all’istruzione e ai servizi sociali. Le popolazioni indigene hanno spesso un elevato carico di povertà, disoccupazione, malnutrizione e malattie trasmissibili e non trasmissibili” e ciò le rende “più vulnerabili al Covid-19 e ai suoi gravi esiti”. E, ha concluso il direttore dell’agenzia Onu, “sebbene il Covid-19 sia un rischio per tutte le popolazioni indigene a livello globale, l’Oms è profondamente preoccupato per l’impatto del virus sulle popolazioni indigene nelle Americhe“.

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