Le città sono sessiste? La domanda è il concetto alla base del femminismo geografico, una nuova corrente urbanistica e filosofica avanzata dalla professoressa canadese Leslie Kern. È stata proprio quest’ultima a introdurre la singolare opinione nel libro Feminist City che sta facendo discutere soprattutto per i titoli degli articoli che lo presentano. Il sito del rispettato quotidiano inglese Guardian ha scritto di “Palazzi eretti verso l’alto che eiaculano nel cielo”, citando le accuse di Kern contro la presunta architettura maschilista fatta di grattacieli “fallici”, ma al tempo stesso scatenando l’incredulità e la derisione dei lettori.

Eppure le proposte avanzate dalla studiosa vanno oltre la polemica e descrivono l’importanza di un necessario cambiamento nel design e nella vivibilità delle città di oggi. Il periodo della pandemia Covid-19 ha reso ancora più evidente come i centri urbani siano diventati obsoleti in vista di un futuro imminente in cui si pone maggiore attenzione all’ambiente e al benessere dei cittadini. L’opinione pubblica sembra non gradire più palazzine, centri commerciali e altri non-luoghi pensati a partire dal Dopoguerra quando imponenti costruzioni segnavano i progressi delle capacità umane.

Oggi quegli edifici appaiono superati e questo è il messaggio elaborato da Kern. “Qualsiasi donna che ha tentato di portare una carrozzina su un autobus, allattare al seno in un parco o fare jogging di notte capisce intuitivamente il messaggio che la città le manda: questo posto non fa per te – ha detto la ricercatrice dell’università Mount Allison, in Canada, che argomenta parlando dell’evoluzione delle metropoli occidentali -. Nella suburbanizzazione di massa del Nord America negli anni ’50 si iniziò a costruire un tipo di abitato che avrebbe aiutato il veterano di guerra a diventare un lavoratore pendolare e sua moglie una mamma casalinga”.

Secondo Kern questi ruoli sono sorpassati dato che oggi poche donne sono casalinghe a tempo pieno e meno uomini accettano di seguire un percorso di vita monotono. Tuttavia le città non sono state riorganizzate e per questo mancano di spazi e possibilità per ogni componente della comunità. Fattori che possono creare problemi persino all’interno delle case: “La maggioranza della violenza contro donne e ragazze è perpetrata in casa e i lockdown hanno aggravato questa situazione. Ma questi problemi non sono stati creati dal coronavirus. La pandemia sta semplicemente evidenziando il fatto che le città si sono accontentate di ignorare la violenza domestica, non vedendola come un problema urbano profondamente connesso a questioni come l’edilizia abitativa, l’occupazione, i trasporti, l’assistenza all’infanzia e, naturalmente, il divario salariale”.

In un’intervista l’autrice canadese ha approfondito la sua teoria: “Focalizzarsi sulla questione di genere significa guardare gli spazi che potremmo dare per scontati e chiederci come è organizzata la nostra città in termini di trasporto e consumo: le costruzioni riflettono la vita di quale gruppo? Chi viene incluso nella costruzione della città e chi è stato escluso? E in che modo queste opere continuano a influenzare la vita di diversi gruppi di persone?”.

Domande alle quali invita a rispondere con un reale dibattito, pensando all’odierna funzione dei centri abitati. Le cosiddette giungle di cemento con periferie-dormitorio e aree poco sicure non sembrano poter resistere a lungo. È stata colpa del fatto che architetti e ingegneri, creatori dei quartieri nei decenni passati, fossero quasi esclusivamente maschi? Anche, come detto in passato dall’archistar anglo-irachena Zaha Hadid: “È un’industria molto severa ed è dominata dagli uomini, non solo nelle pratiche di architettura, ma pure nelle costruzioni. Io sono sicura che come donna posso fare un ottimo grattacielo”. Nel suo libro “Le città invisibili” del 1972, Italo Calvino scriveva che “la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa d’esistere”; forse il ritorno ai luoghi positivi passerà anche dal femminismo geografico.

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