Gran parte degli anziani degenti restavano senza pulizia quotidiana e assistenza. Alcune volte i turni di notte rimanevano scoperti. In più, secondo gli atti, non veniva presa la temperatura corporea ai visitatori, cui bastava lasciare un’autocertificazione per entrare, anche nei giorni più difficili dell’epidemia. Sono solo alcuni nuovi particolari che emergono dall’ordinanza di 46 pagine dell’8 luglio, con la quale la Regione Lazio ha revocato l’accreditamento al sistema sanitario regionale per la Rsa San Raffaele Rocca di Papa, situata nell’omonimo comune alle porte di Roma. Si tratta di una delle 13 cliniche del Lazio facenti capo al gruppo sanitario della famiglia di Antonio Angelucci, deputato di Forza Italia ed editore di Libero e Il Tempo, dove ad aprile si registrò un cluster Covid-19 con 178 positivi e 21 decessi. Accuse, quelle formulate dalla Asl Roma 6, che vanno ad aggiungersi a quelle già emerse nel primissimo audit messo a punto dall’autorità sanitaria, fra pazienti positivi e negativi mescolati, assenza di percorsi distinti e l’assenza di personale riservato al reparto Covid, che di fatto non esisteva.

“Assistiti 20 pazienti su 70”. Infermieri con le mascherine in borsa – I primi rilievi della Asl arrivano fra il 16 e il 18 aprile, tali da indurre la Regione ad avviare l’iter disciplinare. Ma il 20 aprile vengono rilevate altre criticità. “A fronte di 70 pazienti presenti alle ore 12 – si legge nella nota protocollo 19823 – solo 20 di loro erano stati adeguatamente assistiti nelle pulizie quotidiane, rimanendo pertanto gli altri 50 privi di idonea igiene e assistenza”. Non solo. “Dalla visione del foglio turni consegnato nel corso del sopralluogo – prosegue la relazione – risulta che nella giornata del 20 aprile non risulta coperto il turno di notte da nessun infermiere e da nessun operatore socio sanitario”. Il 22 aprile, viene rilevato come “per alcuni operatori che facevano ingresso nel reparto positivi Covid 19”, per il cambio turno, “l’erroneo utilizzo dei Dpi (mascherine e guanti, ndr)” poiché indossati “con a seguito effetti personali (borse giubbotti, involucri in plastica, ecc…) nelle mani”, un sintomo – si legge nella relazione – “di carenza informativa o formativa o comunque di vigilanza”.

Il giallo dello stop alle visite e delle autocertificazioni – Più di qualcosa sembra essere sfuggito anche sul fronte degli ingressi, che in quel periodo dovevano essere vietati o, comunque, estremamente limitati. “Non è possibile risalire in maniera univoca – si legge in una relazione del 24 aprile – a una data a partire dalla quale le visite esterne sono state vietate”. In una mail delle ore 11:16 del 5 marzo, a firma di Nicola Barbato, direzione sanitaria, e priva del campo “oggetto”, “viene riportato un avviso urgente del direttore sanitario privo, però, di una data per l’attuazione”. “In una successiva mail delle ore 17:11, sempre del 5 marzo – rileva la Asl – avente per oggetto: ‘bozza’, il dott. Barbato scrive che il divieto è in vigore dal 6 marzo. Nello stesso allegato sono però riportate 25 autorizzazioni relative a permessi straordinari di un’ora per altrettanti visitatori”. A tal proposito “si segnala, inoltre, che non vi è alcuna evidenza del controllo della temperatura corporea per i visitatori”, mentre “nella richiesta di autorizzazione alla direzione sanitaria, l’assenza di febbre è solo autocertificata”.

Il direttore sanitario e il comitato mai riunitosi – Parecchio clamore ha portato il rilievo formulato il 16 aprile dalla Asl Roma 6, circa l’assenza di titoli da parte di Claudio Rocchi, direttore sanitario della Rsa Rocca di Papa, nominato solo 45 giorni prima, il 1 marzo. Prima di lui Damiano Tassone, poi tornato in carica il 17 aprile. Nonostante il suo incarico fosse cessato, il 3 marzo Tassone inoltra una email formulata da Rocchi. Ma è sull’istituzione del Comitato per le infezioni correlate all’assistenza (Ccica) che l’ordinanza della Regione rileva altre presunte irregolarità: “Nel corso del 2019 – si legge – si è riunito il 12 dicembre, mentre nel 2020 non sono state prodotte evidenze che documentino un nuovo incontro”. Si segnala poi “che al verbale della seduta del Ccica è associato un verbale relativo a una riunione che si è tenuta il 25 febbraio 2020 presso la direzione sanitaria del San Raffaele di Cassino”, ma “non vi sono evidenze documentali che testimonino la decisione del Ccica di estendere le indicazioni di cui al predetto verbale a tutte le strutture del gruppo”.

Le controdeduzioni del San Raffaele – Il gruppo San Raffaele ha inviato documenti per cercare di controbattere punto su punto i rilievi della Asl. Sono state fornite email contenenti indicazioni relative alla pulizia e alla sanificazione degli ambienti, alla gestione del rischio infettivo e all’approvvigionamento di mascherine e gel per le mani. L’ex direttore sanitario, nella documentazione, “ribadisce la scrupolosa applicazione delle procedure già in essere quali (…) disinfezione di tutti gli ambienti con passaggi igienici ad intervalli di due ore con soluzioni di ipoclorito di sodio”. Ma non è bastato. Secondo la Regione, “le evidenze documentali prodotte, infatti, appaiono frammentarie, talvolta generiche, spesso di difficile interpretazione e comunque quasi sempre prive di alcun riscontro sulla loro effettiva implementazione all’interno della struttura”. Inoltre, “molti dei documenti prodotti sono semplici comunicazioni mail, in cui si forniscono alcune indicazioni sulla gestione dell’emergenza epidemiologica. In sintesi “non sembra essere chiara una precisa catena di comando e di responsabilità all’interno della struttura”.

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