AGGIORNAMENTO

Le legittime società finanziarie che hanno acquistato le fatture, non sapevano, all’epoca, che le aziende creditrici fossero collegate alla criminalità organizzata. Quando l’hanno scoperto, dopo i blitz antimafia, hanno provveduto alle segnalazioni alle autorità italiane. L’ammontare delle fatture (attenzionate) costituiva una minima parte del totale confluito in queste operazioni e le stesse società non sono state accusate di alcun illecito.

Secondo quanto scoperto dal quotidiano britannico Financial Times fondi e banche avrebbero acquistato titoli obbligazionari collegati ad attività della ‘ndrangheta per un valore complessivo di un miliardo di euro. Il quotidiano londinese, che ha avuto accesso a documenti legali e finanziari, scrive che tra gli acquirenti dei bond, oltre a fondi pensione, altri investitori istituzionali e privati, c’è anche in piccola parte Banca Generali. La banca parte del gruppo triestino è stata assistita nell’operazione da Ernst & Young (già nell’occhio del ciclone per la mancata vigilanza sui conti della tedesca Wirecard). Banca Generali si dice totalmente all’oscuro della natura dei bond, si considera parte lesa e si dichiara pronta a collaborare. EY non commenta, la società non ha comunque partecipato alla creazione dei titoli sotto accusa né era stata incaricata di scrutinarne l’architettura.

UNA STRUTTURA COMPLESSA: Come ricostruisce il Financial Times la banca d’investimento di Ginevra CFE ha dato vita alcuni anni fa ad una cosiddetta società veicolo che tra il 2015 e il 2019 ha emesso e collocato titoli obbligazionari con rendimenti particolarmente appetibili, soprattutto in questa fase di tassi a zero. I dividendi di questi titoli erano finanziati grazie ai proventi di diverse società, alcune delle quali si sono poi rivelate legate alla criminalità organizzata calabrese. In particolare società che fornivano servizi alle sanità pubblica. Poiché il frequente ritardo nel pagamento fa scattare, in base alle normative europee, interessi garantiti e vantaggiosi, le fatture emesse diventano fonti di profitto particolarmente allettanti. Sono state quindi impacchettate insieme ad altri prodotti perfettamente legali, per costruire titoli obbligazionari. Un po’ lo stesso schema utilizzato nelle cartolarizzazioni dei mutui subprime.

IL CAMPO PROFUGHI IN MANO ALLA ‘NDRANGHETA – Tra le società collegate alla criminalità organizzata, titolari di queste fatture “pregiate” poi cedute, c’era anche un campo profughi in Calabria, che si è scoperto poi essere controllato ed amministrato dalla ‘ndrangheta. La struttura ha ricevuto decine di milioni di fondi dall’Unione europea. CFE comunica di non essere mai stata a conoscenza di aver acquistato asset legati alla criminalità ed è pronta a fornire tutte le indicazioni utili. Citando dati Europol il quotidiano londinese ricorda come il giro d’affari della ‘ndrangheta sia stimabile in 44 miliardi di euro l’anno, provenienti principalmente dai traffici di cocaina ed armi e dal riciclaggio di denaro sporco. Proventi che fanno della mafia calabrese uno dei gruppi criminali più ricchi e pericolosi dell’Occidente.

LE INCHIESTE IN CALABRIA – Il Financial Times non scrive il nome di quello che chiama “campo profughi“. Ma in Calabria, nel mirino della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro qualche anno fa c’è finito il Cara di Isola Capo Rizzuto, il centro migranti più grande del Sud Italia. Nell’ambito dell’inchiesta “Jonny”, infatti, il procuratore Nicola Gratteri e i suoi pm sono riusciti a dimostrare come la ‘ndrangheta aveva infiltrato il Centro di accoglienza attraverso il quale la cosca Arena era riuscita a drenare 32 milioni di euro pubblici sui 100 che erano arrivati in Calabria per gestire i migranti. Nel 2017 erano finiti in carcere il governatore della Misericordie Leonardo Sacco e don Edoardo Scordio, parroco della chiesa di Maria Assunta di Isola Capo Rizzuto. Per gli inquirenti erano loro che tiravano le fila dell’organizzazione criminale che agiva dentro il Cara e faceva capo al clan Arena.

Entrambi sono stati condannati in primo grado per associazione mafiosa. L’anno scorso, infatti, il gup di Catanzaro ha inflitto 17 anni a Leonardo Sacco che è stato giudicato con il rito abbreviato. Il Tribunale di Crotone, invece, ha condannato a 14 anni e 6 mesi il parroco Scordio. Attraverso Sacco, infatti, la cosca Arena era riuscita ad aggiudicarsi gli appalti indetti dalla prefettura per le forniture dei servizi di ristorazione al centro di accoglienza. Il sistema era semplice: Sacco godeva di entrature politiche. Era una sorta di “Buzzi calabrese” che prendeva l’appalto con la onlus “Misericordia” e concedeva in subappalto i servizi ad altre società con scopo di lucro riconducibili agli Arena. Era il clan, quindi, che così gestiva la mensa dando ai migranti cibo che, aveva detto il procuratore Gratteri, non era buono nemmeno per gli animali. Una parte dei soldi, secondo la Procura, finivano nelle tasche di don Edoardo Scordo che riceveva “senza alcun titolo – scrivono i magistrati – cospicue erogazioni di danaro dalla Misericordia“. Addirittura per una non chiara “assistenza spirituale” la Misericordia ha pagato a don Scordio oltre 130mila euro.

Articolo Precedente

‘Ndrangheta, operazione antidroga tra Milano e Reggio Calabria: 17 custodie cautelari

next
Articolo Successivo

Dalla Gronda di Genova al Tav fino alle nuove tratte siciliane. Via libera a 130 opere da 200 miliardi di euro: ecco tutti i cantieri prioritari

next