Dopo oltre mezzo secolo la foca monaca è tornata in Italia. Nonostante negli ultimi anni non sia mancato qualche avvistamento sporadico di individui di passaggio, è il 2020 a portare con sé due segnalazioni che rendono più concreto il futuro di un suo nuovo insediamento.

Cacciata per la sua pelle e perché vista come competitrice per i pescatori, dagli anni sessanta, di fatto, la foca monaca è estinta in Italia. Un tempo diffusa in tutto il Mediterraneo, nel mar Nero e sulle coste atlantiche dalla Spagna all’Africa occidentale, oggi sopravvive, con meno di 700 individui, in Grecia, Turchia, Madera, regione autonoma del Portogallo, e Mauritania. Ma a gennaio, è arrivata una buona notizia per questo pinnipede: un cucciolo di foca monaca è stato avvistato in Puglia. Una meta che non dovrebbe sorprendere. Le coste pugliesi sabbiose e rocciose, ricche di cavità, infatti, rappresentano una casa ideale da sempre: ci sono, per esempio, testimonianze fossili di foca monaca nella Grotta Romanelli risalenti al paleolitico. Sfortunatamente il piccolo era molto debilitato, tanto che nonostante i soccorsi a Torre San Gennaro in Torchiarolo (Brindisi) non è sopravvissuto.

L’ipotesi che quel cucciolo fosse nato proprio lì in Puglia e non in Grecia, però, ha entusiasmato gli scienziati che hanno prelevato un frammento della sua pelle per indagare il DNA. E la risposta della genetica è arrivata in questi giorni confermando che “il Dna mitocondriale del cucciolo, che si eredita interamente per via materna, ci dice che la madre appartiene alla popolazione di foche monache delle isole ioniche e non a quelle presenti nell’Egeo – spiega a ilfattoquotidiano.it, Giulia Calogero ricercatrice e presidente di Menkab, associazione che da anni studia i mammiferi marini – quindi siamo di fronte a un caso di espansione del proprio territorio, la madre, abile nuotatrice come tutte le foche monache, in cerca di un luogo per partorire, ha scelto le coste di fronte a quelle di casa sua, distanti in fondo solo 300 km”.

Lo studio genetico pubblicato su Diversity, condotto da un gruppo di ricercatori italiani coordinato da Vincenzo Caputo Barucchi dell’Università politecnica delle Marche, ha evidenziato le corrispondenze tra il Dna del cucciolo e quello delle foche campionate proprio nelle isole di Cefalonia e Zante. A sostegno della tesi della nascita pugliese, anche le dimensioni del cucciolo: “Si trattava di una femmina di peso 22,5 kg, per una lunghezza di 118 cm che ci fa stimare un’età tra i 2 e i 4 mesi e considerando che era molto emaciata e che l’allattamento dura fino ai 5 mesi – e solo al termine dello svezzamento l’animale si allontana da solo – è altamente probabile che la sua casa fosse vicino al luogo del ritrovamento”, aggiunge l’esperta. Nonostante il mancato lieto fine, il caso della Puglia ha rivelato che l’area è tornata a essere un sito di riproduzione.

Intanto un altro sorprendente capitolo si è aperto più a nord. Tra le isole del parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, proprio in questi giorni, all’interno di una grotta dell’isola di Capraia che, neanche a dirlo, porta il suo nome, grotta della Foca, sta soggiornando una foca monaca. “È un ritorno dopo ben 60 anni. I ricercatori dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ndr.) hanno effettuato un sopralluogo senza farsi notare dall’animale e montato un dispositivo per il monitoraggio – chiarisce Calogero – e sempre per la sua sicurezza l’Ente Parco con un’ordinanza ha vietato l’accesso, in ogni forma e con ogni mezzo, nell’area vicina alla grotta”.

Le grotte per la foca monaca sono una “location” non banale che richiede determinati accorgimenti, non può mancare, ad esempio, “una zona pianeggiante all’interno, come una sorta di spiaggia”. Ma non disprezzano le distese sabbiose, anzi. “La scelta di rintanarsi in cavità è dovuta al fatto che l’animale per riprodursi ha bisogno di zone tranquille, quindi fugge dall’eccesivo disturbo umano tipico dei litorali – spiega ancora l’esperta – ma la foca monaca non è sempre diffidente, ad esempio, nella greca isola di Samos, diversi esemplari sono stati immortalati a ridosso degli stabilimenti balneari direttamente sulle sdraio in spiaggia, spesso monitorate dai cittadini stessi”.

Il sogno di una ri-colonizzazione della foca monaca nella zona mediterranea occidentale richiede grandi sforzi, serve “informare adeguatamente i cittadini e i turisti su come comportarsi in caso di incontro con questo pinnipede”. I pericoli d’altronde sono dietro l’angolo, “degradazione dell’habitat costiero, traffico marittimo, attività di pesca e turistiche”, conclude Calogero, “andrebbero al più presto attivati dei protocolli specifici di conservazione, ma oltre agli accordi su carta, serve finanziare la ricerca: strumento concreto per conoscerli e proteggerli”.

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