Gli occhi spiritati di Schillaci per un rigore non dato. La serpentina di Baggio contro la Cecoslovacchia. Le feste in piazza dopo le vittorie azzurre. Notti magiche prima della serata tragica. Napoli divisa. Maradona e Caniggia e Goycochea. Poi l’uscita sbagliata di Zenga e la delusione, forse la più grande di sempre, per l’eliminazione in semifinale. Sono le immagini di copertina di un ipotetico libro dal retrogusto amaro. Titolo possibile: ‘Mondiali Italia ’90, storia di un’occasione persa’. Perché l’eredità del torneo non si misura con il misero terzo posto della nazionale di Vicini. Il flop fu soprattutto organizzativo: tra costi esplosi e ritardi, le opere realizzate (almeno quelle che non sono state abbattute) erano e restano l’emblema dello spreco. Eppure fu un’edizione epocale, anche e soprattutto dal punto di vista sociale e geopolitico. A trent’anni esatti da allora, raccontiamo – a modo nostro – l’Italia, l’Europa e il mondo di quei giorni. Le storie, i protagonisti, gli aneddoti. Di ciò che era, di cosa è restato. (p.g.c.)

A Milano l’austriaco Kohl fischia la fine. La Germania è in semifinale per la terza volta consecutiva in un mondiale. Ai tedeschi è bastato un rigore di Lothar Matthaus per avere ragione della Cecoslovacchia. La nazionale guidata da Jozef Venglos è arrivata ai quarti dopo il secondo posto nel girone di Italia, Stati Uniti e Austria e dopo aver dominato la sorpresa Costa Rica per quattro a uno negli ottavi. In quell’occasione tre reti erano state messe a segno dal futuro genoano Tomas Skuhravy. Per lui i gol a Italia 90 sono in totale cinque. La sfida del 1 luglio 1990 è una partita fisica ma mai davvero in discussione, con la Germania vicina alla rete del raddoppio in almeno altre tre occasioni. Non è lo stesso film visto dieci anni prima all’Europeo, quando il match fu ben più combattuto ed equilibrato. All’Olimpico di Roma solo una rete di Rummenigge consentì di piegare i cecoslovacchi campioni continentali in carica.

Così come per l’Unione Sovietica e la Jugoslavia, anche per la Cecoslovacchia il mondiale italiano rappresenta l’ultima esibizione di rilievo prima della divisione del paese in due repubbliche distinte, la Repubblica Ceca e la Slovacchia, avvenuta politicamente il 1 gennaio 1993. Sportivamente invece l’ultima partita ufficiale è uno scialbo zero a zero contro il Belgio a Bruxelles, datato 17 novembre 1993. L’uscita dal campo di San Siro è l’atto conclusivo di una storia sportiva fatta di grandi giocatori e di grandi tornei, che ha avuto il suo apice quattordici anni prima, proprio contro la Germania Ovest. È l’Europeo 1976.

Belgrado, 20 giugno. È la Cecoslovacchia guidata dell’estremo difensore Ivo Viktor, di Anton Ondruš, della classe di Jaroslav Pollák, di Zdeněk Nehoda e di un centrocampista 28enne dalla spiccata creatività, Antonin Panenka. In panchina siede lo stratega Vaclav Jezek. Per loro si tratta della prima finale europea. Eppure il percorso non era iniziato nel migliore dei modi. L’esordio a Londra, nel girone di qualificazione, è stato un disastro. I “rossi” perdono tre a zero contro l’Inghilterra. Un incidente isolato. Poi la squadra di Jezek riesce a mettere in fila la stessa Inghilterra, il Portogallo e il piccolo Cipro, presentandosi ai quarti di finale contro l’Unione Sovietica. È un doppio confronto. La Cecoslovacchia batte due a zero i vice campioni d’Europa in carica nell’andata in casa, e poi impone il due a due in Russia. Sedici anni dopo torna in una fase finale. In semifinale sono attesi però da un’avversaria che pare essere fuori portata, l’Olanda di Johan Cruijff. Sullo stadio Maksimir di Zagabria si abbatte un violento temporale. Il campo è completamente allagato. Per gli Oranje sono le condizioni peggiori. Non possono sfruttare il possesso palla, la loro caratteristica principale, e infatti chiedono insistentemente il rinvio. Alla fine però l’arbitro gallese Clive Thomas decide per l’inizio. Nei tempi regolamentari fa tutto Ondrus. Prima segna la rete del vantaggio, poi una sua autorete allunga la sfida ai supplementari. Due gol di Zdeněk Nehoda e František Veselý chiudono la gara.

In finale la Cecoslovacchia trova la Germania Ovest campione del mondo e d’Europa in carica. I tedeschi hanno estromesso dal torneo la Spagna e i padroni di casa della Jugoslavia in semifinale per quattro a due ai supplementari, dopo aver recuperato uno svantaggio di due a zero. Grande protagonista, con una tripletta, è stato Müller. Solo che il suo nome non è Gerd ma Dieter, un 22enne attaccante del Colonia al primo Europeo. I grandi favoriti dopo soli venticinque minuti si ritrovano sotto di due reti. Hanno segnato prima Ján Švehlík e poi Karol Dobiaš. Proprio la seconda rete dà la scossa ai tedeschi. Tre minuti dopo Dieter Müller accorcia le distanze. Nel secondo tempo i teutonici spingono a caccia del pari, trovandolo a dieci minuti dalla fine. Bernd Hölzenbein gela la Cecoslovacchia. Si va ai supplementari. Le due squadre però non riescono a farsi male. Per la prima volta una finale tra nazionali si decide dagli undici metri. Un esito non previsto. Solo prima della sfida le due nazionali hanno deciso di comune accordo che, in caso di pareggio dopo i tempi supplementari, non si sarebbe rigiocata la partita ma si sarebbe andati ai calci di rigore. Nella serie c’è un solo errore. È quello di Uli Hoeness, che dà l’occasione alla Cecoslovacchia di chiudere. Sul dischetto va Panenka. Di fronte a lui Sepp Meier. La sua rincorsa è talmente lunga da scomparire dall’inquadratura della televisione. Arrivato in prossimità della sfera il centrocampista mette il piede destro sotto la sfera come se fosse un cucchiaio. La palla si infila morbida e lenta al centro della porta, con Meier disteso a sinistra. La Cecoslovacchia ha portato a compimento la propria impresa. È campione d’Europa.

Per i cecoslovacchi è il primo titolo internazionale. Un inseguimento concluso al quarto tentativo. La prima finale era datata 1920. Pochi mesi dopo la fondazione. Siamo alle Olimpiadi di Anversa e la Cecoslovacchia arriva all’atto conclusivo contro il Belgio. Il match non dura nemmeno un tempo. I cecoslovacchi abbandonano il terreno di gioco sul due a zero per i belgi per presunti favoreggiamenti arbitrali. Ancora oggi è l’unico precedente di una finalista che lascia il campo per protesta. Trascorrono quattordici anni e la Cecoslovacchia torna a giocarsi una finale. Questa volta però l’appuntamento ha un peso molto superiore.

È il mondiale del 1934 e i “rossi” affrontano l’Italia padrona di casa. È la nazionale del bomber Oldrich Nejedly, il capocannoniere di quella edizione. Lungo il percorso hanno sconfitto Romania, Svizzera e la Germania. Per la stampa internazionale sono loro i favoriti. Allo Stadio Nazionale del Partito Nazionale Fascista di Roma l’attaccante Puc porta in vantaggio i cecoslovacchi, al termine di una supremazia che ha prodotto anche due pali. Nei minuti immediatamente successivi prima Sobotka spreca a porta vuota, poi Svodoba coglie il terzo legno. Sembra una partita oramai decisa ma Orsi trova il pareggio. La rete di Schiavio, al quinto minuto dei supplementari, regala all’Italia la prima coppa del mondo. Serviranno 28 anni per rivedere la Cecoslovacchia in finale di un mondiale.

Siamo nel 1962. In Cile, dopo Ungheria e Jugoslavia, l’ultimo avversario è il Brasile campione in carica di Vavà, Garrincha e Didì. Ci sarebbe anche Pelè, ma il numero dieci è infortunato. Sulla carta non ci dovrebbe essere partita ma, in realtà, le due squadre si sono già incontrate nel girone e la Cecoslovacchia era riuscita a non subire reti, portando a casa un pareggio decisivo per il passaggio del turno. Ed infatti i cecoslovacchi vanno in vantaggio sorprendentemente con Masopust. L’illusione però dura appena tre minuti. Sulla fascia sinistra Amarildo arriva fino in fondo, dopo aver superato due avversari. Con la coda dell’occhio vede il portiere avanzare leggermente verso il centro dell’area, aspettando un cross che però non arriva. Da posizione defilata l’attaccante lascia partire un tiro che si infila tra il palo e il portiere. L’immediato pari spegne l’entusiasmo dei “rossi”, che reggono solo un tempo. Nella ripresa Zito e Vavà consegnano il secondo titolo consecutivo ai verdeoro. Per la Cecoslovacchia la consolazione sarà il Pallone d’Oro a Masopust. Quella cilena sarà l’ultima possibilità di vincere un mondiale.

Dai due paesi nati dalla Cecoslovacchia dopo Italia 90, solo la Repubblica Ceca manterrà un certo prestigio calcistico. Appena tre anni dopo la divisione, nel 1996, la squadra raggiunge la finale dell’Europeo in Inghilterra, ancora una volta contro la Germania. Stavolta però sono i tedeschi a trionfare in rimonta. Per la Repubblica Ceca c’è anche una semifinale europea nel 2004 e un Pallone d’Oro con Pavel Nedved nel 2003. Per la Slovacchia invece ci sono solo due ottavi di finale: uno al mondiale del 2010 e uno all’europeo del 2016.

Twitter: @giacomocorsetti

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