C’erano il giorno 1: la prima volta che Beppe Grillo ha parlato di Movimento 5 stelle davanti alla platea di un centinaio di persone e quando trovare qualcuno col coraggio di correre alle elezioni era ancora un’impresa. C’erano per i primi gazebo, le riunioni carbonare nei bar e i tour organizzati con la cordata di volontari per guidare i furgoni. Hanno seguito decine di comizi, partecipato ad altrettanti Meetup e presenziato a tutti i raduni nazionali. Sono gli attivisti M5s: li chiamano “la base” e per regolamento (almeno sulla carta) hanno il potere di ribaltare le decisioni. Sono di fatto gli organi vitali di un movimento che, soprattutto grazie alla loro spinta, è riuscito ad arrivare nelle stanze del potere. Eppure, rimangono un’entità fumosa e ancora dopo dieci anni, facciamo fatica a dire chi sono, indicare un volto o fare dei nomi. In questi giorni, forse tra i più delicati per il futuro del M5s, è uscito il libro di uno di loro: una testimonianza diretta di un pezzo della storia politica di questo Paese. Si chiama “Barra dritta” (Diesis) e lo firma Simone Abbruzzi, attivista di Cormano (Milano) dal 2010. Dentro ci sono i racconti inediti di molti dei momenti cruciali del Movimento e di quelle tappe che hanno permesso di arrivare al governo. E, non è un caso, la prefazione la firma uno dei protagonisti della storia M5s e anche degli ultimi giorni di terremoti in casa grillina: Alessandro Di Battista. L’ex deputato, ormai sempre di più punto di riferimento per chi chiede un ritorno alle origini del Movimento (tanto da far temere ai suoi una scissione), scrive parole che, lette in questi giorni di tensioni, suonano profetiche: “Non sono un nostalgico”, dice, “che una forza politica che passa dallo zero virgola al governo del Paese debba evolversi è più che normale, così come è normale il fatto che debba raggiungere compromessi con altri partiti non potendo governare da sola. Ma perché mai gli attivisti dovrebbero innamorarsi del compromesso?”.

Bastano queste poche frasi per raccontare i dissidi di una base che da Milano a Roma fino a Palermo deve fare i conti con quello che il Movimento è diventato. Da quando (diciamo post 2013 e con le prime ospitate in tv) il M5s si è trasformato in volti e leader identificabili, sapere cosa pensano e cosa vogliono gli attivisti molto spesso è diventato secondario. E ignorarli, forse è l’errore principale che si commette quando si cerca di capire cos’è il Movimento e cosa diventerà. Sono pochi i partiti a poter vantare elettori così “attivi ed esigenti”: volontari che, almeno finché i parlamentari li hanno considerati, organizzavano graticole mensili per interrogare pubblicamente i portavoce sui risultati. Chi ha mai assistito di persona a una di quelle vere e proprie interrogazioni, sa quanto fossero diverse rispetto a un qualsiasi altro incontro di un partito tradizionale. Poi all’improvviso hanno smesso di farle, in molti casi uno dei primi sintomi di crisi, ma in pochi se ne sono davvero accorti. “Ultimamente”, scrive ancora Di Battista, “si parla poco degli attivisti del Movimento. Vuoi perché molti di loro sono stati eletti nelle Istituzioni ed occupano ruoli prestigiosi, vuoi perché altri hanno abbandonato il Movimento, e tra l’altro sarebbe opportuno chiedersi il perché, vuoi perché alcuni si sono via via trasformati in tifosi e questo, francamente, rende il loro ruolo meno essenziale”. Dice Di Battista che “un tifoso”, uno che “venera i portavoce” “non serve a nulla”: “Un vero attivista riduce la possibilità di normalizzazione della forza politica che sostiene. E badate bene, normalizzarsi resta sempre il pericolo più grande per chi decide di fare politica”. Un rischio che per i 5 stelle ormai, nolenti e volenti, è realtà. Quindi l’ex deputato sembra appellarsi agli attivisti perché siano loro a riportare il Movimento sulla via che ha smarrito: “La qualità”, scrive ancora, “e di conseguenza la durata di una forza politica è direttamente proporzionale all’inflessibilità, al rigore ed alla severità di quella che viene definita base”. E chiude con quello che suona come una benedizione per chi dissente con la linea ufficiale: “Il Movimento ha cambiato pelle, ripeto, è normale che in parte ciò avvenisse. Ma gli attivisti non devono farlo”.

La cronaca di Abbruzzi è la storia di quei pochi che la pelle, se l’hanno cambiata, l’hanno fatto a fatica. Inizia dal giorno 1 del Movimento, ma quello vero. Non il 2013 e l’entrata in Parlamento, come è stato per tanti. Parte dagli spettacoli di Beppe Grillo al Teatro Smeraldo di Milano nel 2010 e arriva ai giorni nostri. Passando per le prime esperienze degli orti botanici cittadini, fino al bagno di folla con Dario Fo a battezzare i 5 stelle sotto il Duomo di Milano. “Questo è il diario di un attivista”, scrive. Un resoconto preciso delle tappe fondamentali della sua militanza che, naturalmente, inizia con lo show del fondatore: “C’era la famosa stampante 3D portata e usata sul palco”, dice. “La politica non era mai stata così attraente e affascinante come quella sera. Era anche semplice capirla”. Quindi ci sono i primi incontri del Meetup nel bar di Cormano, insieme alla compagna poi diventata europarlamentare Eleonora Evi: “Non importava avere una sede con il nostro simbolo in bella mostra per farci vedere in città”, scrive. Poi “venne il tempo del gazebo”, i banchetti per raccogliere nuove adesioni “ad agosto quando fa caldo e rischi l’insolazione, o d’inverno quando nevica e senti che le dita dei piedi quasi ti si staccano”: “Per molti è la cosa più importante per un attivista”. E’ così importante che, “molti non considerano attivisti coloro che non ne fanno”. E’ una delle accuse che, dalle parti dei Meetup, viene fatta più spesso: i parlamentari non fanno più i banchetti, uno dei compiti ritenuto da sempre fondamentale: “Devi essere preparato per rispondere alle tante domande, osservazioni e critiche che ti verranno poste su molteplici argomenti e devi saper parlare, comunicare bene, controbattere e dialogare”.

Abbruzzi c’era in tutti i momenti più importanti degli ultimi anni e soprattutto, c’era alla vigilia dell’ingresso in Parlamento nel 2013. Così racconta una delle riunioni segrete (ah quanto i giornalisti avrebbero pagato per esserci in quel momento) che portarono a quella vittoria: “Di sera, dentro un negozio a serrande abbassate, eravamo tantissimi, tutti appiccicati. La sensazione era quella di una riunione carbonara con la differenza che noi non avevamo nulla da nascondere ma semplicemente le condizioni in cui ci trovavamo erano quelle di cittadini che provano ad autorganizzarsi senza strutture e senza soldi pubblici. Nell’aria si respirava qualcosa di magico”. Da quella magia molte cose sono cambiate e a dirlo è lo stesso Abbruzzi. Che nella conclusione scrive: “Questo progetto è diventato grosso e lo è diventato molto in fretta. Forse troppo. Non è stato in grado di creare i giusti anticorpi per evitare storture, errori, passi falsi”. Abbruzzi però c’era all’inizio di tutto e (per ora) non ha mollato. Lui si aggrappa al senso di fare politica per cambiare la società. Ma finito il libro rimangono tante domande: quanti come Abbruzzi sono rimasti ancora nel Movimento e a quanti tra i leader fa davvero comodo, come dice Di Battista, che gli attivisti li spingano a tenere “la barra dritta”? E soprattutto, quanta autonomia vitale può avere un M5s senza attivisti?

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