Anche la Spagna introduce il reddito di cittadinanza. Si chiama ingreso minimo vital, si aggiunge alle misure di sostegno alla vulnerabilità già erogate dalle Comunità Autonome e punta a raggiungere 850.000 famiglie per un totale di 2,3 milioni di persone in condizioni di povertà estrema. Il reddito potrà oscillare tra un minimo di 462 euro a un massimo di 1.015 euro al mese, per 12 mesi, a seconda della composizione della famiglia, cifre lievemente più basse rispetto a quelle previste in Italia dove comunque l’importo medio è poco sopra i 550 euro. Si potrà chiedere dal 15 giugno, con effetto retroattivo dall’inizio del mese, fino al prossimo 15 settembre.

L’ingreso minimo vital, appena varato dal governo di Pedro Sanchez, è un reddito di base strutturale e permanente, una prestazione non contributiva a carico della Previdenza Sociale. Secondo l’ultima Encuesta de Población Activa, rapporto sul lavoro stilato dall’Istituto Nazionale di Statistica riferito al primo trimestre dell’anno, sono 1,1 milioni le famiglie spagnole i cui componenti sono tutti disoccupati, mentre quasi 600.000 persone non hanno alcun tipo di introito. Numeri che l’onda iniziale della pandemia ha contribuito ad alimentare. Per poter accedere a questo contributo bisognerà rispettare una serie di requisiti personali. Si farà riferimento al livello di reddito del 2019 e alla situazione patrimoniale.

Nello specifico le richieste potranno essere avanzate dalla popolazione di età compresa tra i 23 e 65 anni (con la soglia minima che parte da 18 anni in presenza di minori a carico), residente ininterrottamente in Spagna da almeno un anno. I richiedenti devono aver vissuto in maniera indipendente per almeno un anno nel caso di famiglie, e tre anni nel caso di persone singole, aver pagato almeno un anno di contributi o essere iscritti nelle liste di collocamento. Nel caso delle cosiddette “unità di convivenza”, formate da persone che vivono insieme, condividendo le spese casalinghe, per vincolo familiare o come coppie di fatto, fino al secondo grado di consanguineità, affinità o adozione, le sole titolate a ricevere il contributo saranno quelle formate da almeno un anno alla data della richiesta.

Ai richiedenti verrà sottoposto un test reddituale e patrimoniale, al netto di debiti e della spesa per l’alloggio. Il limite patrimoniale aumenta in funzione del numero di persone del nucleo familiare, partendo da 16mila euro per una persona singola fino a 43mila euro nel caso di un nucleo di quattro componenti. Il patrimonio netto non deve superare di tre volte il reddito annuale percepito. Base di calcolo sarà il reddito del 2019. In funzione di questi presupposti a una persona singola spetteranno 462 euro al mese, con un incremento di 139 euro al mese per ogni persona in più considerata nel nucleo, adulto o minore, fino a un massimo di 1.015 euro. Per le famiglie monoparentali è previsto un supplemento di 100 euro.

Rispetto al reddito di cittadinanza italiano sono evidenti alcune differenze. Innanzitutto, come suggerisce la stessa denominazione: la cittadinanza. La formula nostrana prevede che il beneficiario sia cittadino italiano o europeo o lungo soggiornante e debba risiedere in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi 2 in via continuativa. Per l’ingreso minimo vital è sufficiente la residenza ininterrotta in Spagna di un anno, anche da parte di stranieri. Anche il presupposto sottostante la presenza dei requisiti è diverso: il moltiplicatore spagnolo agisce sulla situazione patrimoniale, mentre quello italiano sul reddito familiare. In più, l’Italia fa differenza tra adulti e minori, prevedendo un moltiplicatore massimo di 2,1 (o 2,2 nel caso di disabilità grave) rispetto al valore base, mentre Madrid non fa differenza sulla composizione del nucleo familiare tra adulti e minori e si spinge fino a un valore di 2,6 nel caso della presenza di cinque persone. Tuttavia, anche la Spagna richiede la ricerca attiva di lavoro. Occorre “essere registrati come richiedenti lavoro, sia per i maggiorenni che per i minori emancipati, se non lavorano”, specifica la norma spagnola.

Il nuovo provvedimento rientra in una più ampia riorganizzazione del welfare spagnolo, eliminando alcuni aiuti statali già presenti e che si sarebbero sovrapposti con gli obiettivi dell’ingreso minimo vital. Per esempio, saranno eliminati gli aiuti per i figli a carico con disabilità fino al 33 per cento: chi li riceve avrà diritto d’ufficio al nuovo sussidio. Ma il reddito di cittadinanza resta compatibile con tutte le altre misure di sostegno, comprese quelle delle Comunità Autonome. Il costo annuale stimato è di 3 miliardi di euro, e permetterà complessivamente un sostegno medio annuale alle persone che ne avranno necessità di 10.070 euro, di cui 4.400 provenienti da questa nuova misura. Navarra e Paesi Baschi prenderanno subito la gestione di questo nuovo sistema, mentre dal 2021 lo faranno anche Madrid, Andalusia, Galizia, Comunità Valenciana, Aragon, Cantabria e Castilla y Leon.

Le Comunità Autonome hanno infatti già in carico un’altra misura di contrasto alla vulnerabilità e alla povertà: la renta minima de inserción. Un modello decentralizzato, senza standard comuni, con grandi differenze sia per quanto riguarda i requisiti che per le somme erogate, da regione a regione. Nel 2018 a ricevere la renta minima de inserción sono state complessivamente 293.302 persone, con un ammontare minimo medio compreso tra i 300 e
644 euro al mese. Quest’ultima cifra è quella minima erogata dai Paesi Baschi, che si spingono fino a un massimo di 915 euro, per un totale di 72.341 persone raggiunte. In Navarra la forbice è compresa tra 610 e 1.221 euro, con 16.078 titolari.

Ben diversa la situazione in due regioni chiave come l’Andalusia e la Comunità di Madrid. Nella prima la forchetta è tra 419 e 779 euro, a Madrid tra 400 e 735 euro. In queste due regioni i tempi di attesa si allungano a dismisura (fino a sei mesi a Madrid, nove in Andalusia) e la severità di alcuni requisiti ha fatto sì che la platea dei titolari si riducesse negli ultimi anni. In Andalusia nel 2018 i titolari, su 80.000 domande, risultavano 17.883, ma oltre 11.000 riceventi tra il 2017 e il 2018 hanno visto interrompersi l’erogazione.

Articolo Precedente

Coronavirus, Istat: “Nel 2020 pil a -8,3% e 2 milioni di posti persi. Dal Covid choc senza precedenti, nel 2021 ripresa parziale”

next
Articolo Successivo

Coronavirus, Francia e Italia i Paesi Ue con il maggior calo del pil nel primo trimestre. Istat: “Spesa media delle famiglie giù del 4%”

next