Per girare un film nel quartiere Tamburi di Taranto non servono permessi del Comune o richieste ufficiali, è sufficiente rivolgersi al clan mafioso che gestisce il territorio per trovare lavoratori, comparse, location, parcheggi e tutto quello che serve. È quanto emerso dall’operazione antimafia “Tabula Rasa” condotta dalla Guardia di finanza di Taranto che ha portato in carcere 8 persone accusate a vario titolo di associazione mafiosa, traffico di droga, scambio di voto politico-mafioso e tanto altro. Ed è al clan “Sambito” che alcuni rappresentanti della Fandango si sarebbero rivolti a ottobre 2017 per le riprese del film de Il grande spirito di Sergio Rubini.

Dalle intercettazioni raccolte dai finanzieri agli ordini del tenente colonnello Marco Antonucci e coordinati dal pm Milto De Nozza della Direzione distrettuale antimafia di Lecce è emerso come la casa produttrice “si rivolgeva direttamente ad Antonio Sambito sia per un servizio di guardiania delle attrezzature di scena che per ottenere la disponibilità di taluni spazi pubblici cittadini aggirando le dovute autorizzazioni comunali”. Una richiesta che il capo clan avrebbe accolto e affidato al suo uomo di fiducia Claudio Pugliese perché ne curasse l’effettiva realizzazione. Sono tantissime le telefonate tra i membri della casa di produzione e Pugliese: a lui viene chiesto di tutto e persino il via libera per una serie di decisioni. Anche quando le riprese si devono spostare dal quartiere Tamburi alla città vecchia, il clan viene informato e rassicura sull’eventuale possibilità che si rompano equilibri con il gruppo che controlla quell’altra zona della città: “No! Non ti preoccupare, statti tranquillo – afferma Pugliese al suo interlocutore – ce la vediamo noi agli equilibri”.

E non solo. Il clan si occupava di bloccare le strade per consentire le riprese: “La casa di produzione e tutto il personale ad essa collegata sono state, di fatto, – scrive il gip nella sua ordinanza – sottomesse alla gestione del clan Sambito, ovviamente per quanto attiene la gestione dei rapporti con la locale società, per mezzo dell’opera prestata da Pugliese che di esso ne rappresenta il braccio operativo sul territorio”. Inoltre per il giudice appare evidente come “il gruppo Sambito si sia sostituito alle Amministrazioni statali nella gestione di attività ad esse istituzionalmente demandate e la cui surrogazione costituisce certamente un atto di abuso ma allo stesso tempo un’affermazione di potere soprattutto agli occhi della popolazione residente che cosi ne può riconoscere l’autorevolezza”. Non solo il clan poteva disporre a suo piacimento di abitazioni private facendo leva “sull’ampia disponibilità del territorio su cui esercitano la propria forza”. Pugliese non andava troppo per il sottile di fronte alle paure dei responsabili della produzione cinematografica: “Vabbè non ti preoccupare di chiedere o non chiedere!! Andiamo e le giriamo, capito? Non c’è problema là”.

Già, non c’era problema. Perché in quelle settimane di riprese era il clan a scegliere chi doveva lavorare: erano quindi gli uomini della mafia a distribuire lavoro in una zona popolare come il quartiere Tamburi. Azioni che permettevano al gruppo di accrescere il proprio prestigio e di ricevere in cambio la disponibilità della cittadinanza. Come nel caso delle elezioni comunali 2017 quando il clan ha scelto di sostenere il candidato consigliere Filippo Illiano e come sindaco Stefania Baldassarri. Oppure alle elezioni politiche del 2018 quando il clan aveva deciso di sostenere due candidate di Forza Italia. In entrambi i casi, però, pur avendo raggiunto numeri importanti nel loro quartiere, nessuno di quei candidati è riuscito a farsi eleggere.

Articolo Precedente

Coronavirus, il Consiglio d’Europa: “C’è un indebolimento delle misure anticorruzione. In Italia stop porte girevoli tra politica e magistratura”

next
Articolo Successivo

Ergastolo ostativo, dopo la raccolta firme del Fatto ecco la relazione dell’Antimafia. Morra: “È dovere del legislatore intervenire”

next