Fca e Repubblica, il ministro Provenzano: “Per troppo tempo a sinistra abbiamo pensato che il conflitto di interessi fosse solo Berlusconi. In Italia è conflitto epidemico”

Nel caso del prestito garantito dallo Stato a Fca non ci sono solo le implicazioni politiche ed economiche, ma pure quelle mediatiche. Se sabato si è esposto il vicesegretario Pd Andrea Orlando, immaginando “attacchi al governo da centri economici e dei media”, oggi ha parlato il ministro per il Sud Beppe Provenzano: “In questa discussione pubblica, democratica” che riguarda non solo Fca ma “il rapporto tra lo Stato e le imprese in Italia”, ha scritto in un lungo post Facebook, “non si possono ignorare i rapporti di forza“. E, in particolare, ha detto, “per troppo tempo, nell’ampio campo democratico e anche a sinistra, abbiamo considerato l’espressione ‘conflitto di interessi‘ solo in riferimento a una persona: Silvio Berlusconi. Eppure uomini come Guido Rossi ci avvertivano già vent’anni fa dell’esistenza in Italia di un ‘conflitto epidemico‘”. Una riflessione che arriva in un momento molto delicato e direttamente da un esponente Pd che fa parte del governo Conte.

Il fronte appunto non è solo quello politico, ma riguarda direttamente l’indipendenza dei mezzi di informazione. E mentre sull’opportunità o meno dello stanziamento dei fondi per una multinazionale che non ha sedi in Italia si scontrano i politici della maggioranza, direttamente coinvolti ci sono anche i due quotidiani posseduti dalla holding Exor: la Repubblica e la Stampa. Sul primo, domenica 17 maggio, il neodirettore Maurizio Molinari ha pubblicato una serie di interventi in difesa del prestito garantito dallo Stato alla multinazionale (rifiutandosi poi di dare spazio al comunicato sindacale della redazione che protestava). Su quel giornale, scrive Provenzano, “ora di proprietà del gruppo di cui fa parte FCA, si giustifica la scelta, compiuta anche da molte altre multinazionali, ‘non solo per vantaggi fiscali offerti da altre legislazioni, ma anche per una linearità del diritto societario che in Italia è difficile trovare’”. Mentre sul secondo, la Stampa, il neodirettore Massimo Giannini critica direttamente Andrea Orlando per quelle che il giornalista definisce “calunnie” al pari di quelle degli “odiatori di professione di Silvia Romano e Liliana Segre”.

Conflitto di interessi: “Tema sempre più attuale per la concentrazione dei mezzi di informazione” – Secondo il ministro Provenzano, fondamentale è partire nell’analisi dai “rapporti di forza”: “Anche in una fase in cui, con un certo ritorno di normalità, torna la discussione sul cambio di maggioranza e di governo. È un tema posto con forza all’opinione pubblica, basta leggere i giornali. Ogni critica è legittima, persino benvenuta. Ma la democrazia non si nutre solo di opinione pubblica, vive nei rapporti di forza”. E a questo, dice Provenzano, si riferiva il discorso di Andrea Orlando. Quindi ammette che per troppo tempo a sinistra si è esaurito il discorso sul conflitto di interessi con le accuse a Silvio Berlusconi. “Oggi il tema è ancora più attuale, per la concentrazione proprietaria dei mezzi di informazione“. E per questo “è inaccettabile” chi, come il direttore Giannini e tanti dei critici di queste ore, “liquida questo tipo di riflessioni accostandole al vergognoso gorgo degli attacchi sguaiati rivolti a Silvia Romano o alla senatrice Segre, oppure tenta di ridicolizzarle parlando di Unione Sovietica o “populismo economico””. E chiude: “Non possiamo permetterci di cambiare argomento, tutte le questioni poste richiamano grandi principi liberali. Ma troppi liberali italiani se lo dimenticano”.

“Non sarebbe atto di senso civico per Fca condividere il report degli investimenti per Paese?” – Il cuore della questione secondo Provenzano, così come sollevato dallo stesso Orlando, il fatto che se “lo Stato partecipa al funzionamento di un’impresa, allora è giusto che questa – in piena autonomia – fornisca delle garanzie occupazionali, sociali e, più generalmente, democratiche oltre che sul mero rimborso dei prestiti”. Nei vari decreti sono previste “alcune condizionalità”, “la questione è come attuarle, prevedendo condizioni specifiche, per grandi prestiti a grandi multinazionali”. Perché “FCA infatti oggi non è (più) un campione industriale italiano ma una multinazionale con investimenti in tutto il mondo, sede fiscale a Londra e legale in Olanda”. E soprattutto, “nessuno, al di fuori di alcuni alti dirigenti dell’Agenzia delle Entrate e del management internazionale di FCA, conosce con esattezza come sono distribuiti i profitti delle varie filiali e come ripartisce il carico fiscale nei vari paesi in cui opera”. E non solo a livello italiano. “A livello europeo è bloccata (per l’opposizione di alcuni paesi, tra cui quelli in cui FCA ha trasferito le sue sedi) ormai da qualche anno una direttiva che renderebbe obbligatoria la pubblicazione dei ‘country by country report'”. Ma in attesa che sia obbligatorio, dice ancora Provenzano, non sarebbe il caso che Fca la rendesse pubblica autonomamente: “Noi dobbiamo accelerare l’adozione della direttiva ma, intanto, non sarebbe un atto di buona volontà e senso civico, per FCA valutare spontaneamente di condividere con il governo italiano i suoi “country by country report”, anche per rendere meno discrezionale, nel caso di una grande azienda, la scelta di offrire grandi garanzie pubbliche? Sappiamo tutti benissimo quali e quanti siano gli investimenti dell’azienda nel nostro paese e quanto contribuisca (pure sul fronte fiscale) al funzionamento della nostra economia. Ma dall’annuncio di ‘Fabbrica Italia’ è mancato un dibattito su quanto sia stata attuata e quanto si dovrà attuare alla luce dei mutamenti societari e di mercato”.

“Non possiamo permetterci nuovi errori, lo dobbiamo agli imprenditori che investono in questo Paese senza volare a Londra o Amsterdam” – Quindi Provenzano ha ribadito quanto già detto solo ieri da Romano Prodi, sul fatto che “FCA non è più una impresa italiana” e che “è assolutamente legittimo finanziarla ma occorrono garanzie”. “È infatti in corso”, ha detto, “una complessa operazione di fusione con la francese Psa, ed è essenziale capire il ruolo dell’Italia all’interno del perimetro del gruppo. Anche questo richiede adeguate garanzie. La Fiat è un pezzo di storia di questo Paese e il suo allontanamento dall’Italia è una ferita e ha segnato una sconfitta industriale di cui solo ora iniziamo a intravedere le conseguenze”. E, per questo, ha concluso: “Non possiamo permetterci nuovi errori. Lo dobbiamo agli italiani – che con le loro tasse finanzieranno questi prestiti – e ai tanti imprenditori, non solo piccoli e medi, che ogni giorno lavorano e investono per rafforzare questo Paese. Senza volare ogni settimana a Londra o Amsterdam”.

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