Stiamo vivendo un periodo storico in cui la paura del contagio ci costringe ad un limite forzato della nostra vita quotidiana. Ognuno di noi fa un sacrificio per ridurre i rischi connessi al Coronavirus, entro un’ottica preventiva e di controllo delle infezioni (Infection prevention and control, IPC). In tale prospettiva, si moltiplicano i suggerimenti e le piccole azioni quotidiane, per ridurre il rischio di contagio: in particolare l’igiene delle mani.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha lanciato sui social una nuova sfida: #SafeHandsChallenge che invita gli utenti a condividere un video su come lavarsi le mani e a nominare almeno altre tre persone che devono fare altrettanto. Inoltre, l’Oms ogni anno promuove, per il 5 maggio, la Giornata Mondiale per il lavaggio delle mani, al fine di ricordare l’importanza di questo gesto semplice, ma essenziale per la prevenzione delle infezioni trasmissibili, soprattutto negli ambienti ospedalieri e di cura.

Comprendiamo come il lavarsi le mani non sia un gioco, sia valutando i rischi di contagio, legati ad un’igiene sbagliata, che considerando il peso di questa informazione sulla salute mentale. Infatti, l’eccesso di frequenza nei rituali di pulizia ed il vissuto di angoscia legato al non lavare le proprie mani con una metodologia corretta, sta portando ad un aumento della paura legata alla contaminazione, come riportato dal Times, a volte, con esiti patologici.

In particolare, per le persone con diagnosi di Disturbo Ossessivo-Compulsivo (Doc) legato a germofobia, la pandemia da coronavirus sta creando una linea sottile fra la salute e la compulsione. Questa condizione è caratterizzata da pensieri ossessivi riguardo alla pulizia o al rischio di contaminazione che diventano intrusivi e generano azioni compulsive, ossia la ripetizione di atti o rituali tesi alla riduzione della paura o dell’angoscia. Ma questi rituali e queste azioni non sono risolutive, portano solo ad una spirale di paura ed angoscia sempre più intense, soprattutto se rinforzati da continui richiami rispetto ad un reale rischio di contagio.

Il terrore di essere infettati, può portare a mettere in atto rituali di pulizia dannosi per la pelle, fino a causare lesioni ed escoriazioni. La paura di un male esterno, può spingere ad agire violentemente sul proprio corpo. Non è tutto: il rischio di contagio conduce ad allontanarsi dalle persone amate. In questo caso, la paura può spingere a rifiutare il proprio partner convivente, agendo una violenta rottura dell’intimità.

In generale, chi ha una diagnosi di Disturbo Ossessivo-Compulsivo (Doc) può sperimentare difficoltà nell’eccitazione sessuale, difficoltà nel provare desiderio, mancanza di soddisfazione con il proprio partner sessuale, può vivere con paura l’idea di avere un’attività sessuale, fino a sviluppare un vero e proprio disgusto rispetto ad essa. Ed ora, immersi in una pandemia di carattere globale, tutti i vissuti, le paure, le mancanze, le difficoltà relazionali, sembrano amplificate.

Cosa fare? Coinvolgere il proprio partner, per comprendere l’origine di un’eventuale difficoltà sessuale o relazionale. Inoltre, se si rintracciano cambiamenti nel proprio comportamento ordinario, oppure difficoltà nella sfera sessuale o relazionale, chiedere aiuto. In questo momento, ci sono centinaia di professionisti a cui rivolgersi, tramite call center dedicati, promossi anche dal Ministero della Salute.

Non smettiamo di avere cura della nostra salute, intesa come benessere fisico, psicologico e relazionale. Al primo posto, nella vita di ognuno, deve essere posta la cura di se stessi e delle proprie relazioni, di certo non la paura del virus. Riportiamo il focus su di noi, sulle nostre potenzialità e non sulla paura.

Con la collaborazione di Francesca Vannucchi

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