È guerra tra gli operatori dei servizi educativi, scolastici, sociosanitari, socioassistenziali e i Comuni. A mettere gli uni contro gli altri è l’articolo 48 del Decreto “Cura Italia” e la sua interpretazione. Secondo i primi, le pubbliche amministrazioni sarebbero autorizzate a pagare gli operatori nonostante la sospensione, causa emergenza, dei servizi. Mentre a detta dei sindaci è impossibile liquidare le cooperative se non è eseguita da parte loro l’attività prevista dal contratto. Una querelle che ha coinvolto le organizzazioni sindacali della Funzione Pubblica e l’Anci, l’Associazione nazionale dei comuni italiani.

I sindacati lombardi e la Legacoop nei giorni scorsi hanno scritto proprio all’Anci regionale chiedendo di “corrispondere quanto definito da convenzioni di contratti di servizi, ancorché chiusi o sospesi dai provvedimenti nazionali”. Da più parti si sono levate le voci dei lavoratori. Una situazione che rischia di diventare un’emergenza: “Oggi la nostra categoria – scrivono “Gli educatori per il futuro” – rischia di diventare utenza dei Comuni stessi. Come ci è possibile essere promotori della relazione d’aiuto se noi stessi abbiamo bisogno di essere sostenuti?”.

Educatori ed operatori chiedono di avere lo stesso trattamento del personale scolastico e pubblico: vogliono lo stipendio. Una richiesta sostenuta da Michele Vannini della segreteria nazionale della Funzione Pubblica Cgil che spiega: “L’articolo 48 è scritto in maniera ambigua, si presta a diverse interpretazioni. Ci sono in campo due schieramenti. Da una parte le centrali coop che vorrebbero fatturare anche in assenza dei servizi, dall’altra parte l’Anci e i Comuni che essendo in una situazione difficile, al di là della volontà, fanno fatica ad avvalorare questa tesi”.

La Fase 2 pone un tema relativo alla ripartenza di alcuni di questi servizi. Lo sa bene Franco Berardi, della segreteria nazionale della Funzione Pubblica della Cisl: “Sono d’accordo con l’Anci, siamo disponibili a un ragionamento di riprogrammazione dei servizi ma dev’essere garantita la retribuzione ai lavoratori”. In altre parole, chi prima si occupava della mensa scolastica, ad esempio, ora potrebbe essere impiegato per la distribuzione dei pasti a domicilio. In questo caso i Comuni avrebbero già le risorse a disposizione per pagare un’attività effettivamente svolta.

A chiarire la posizione dei Comuni ci pensa Antonio Decaro, presidente dell’Anci e sindaco di Bari: “Esiste un’unica interpretazione di quell’articolo. Se la cooperativa o l’azienda che svolge il servizio educativo, il trasporto scolastico, fa un’attività diversa noi possiamo modificare il contratto e abbiamo già a bilancio le risorse per pagare queste attività. Se un servizio non viene svolto non possiamo pagare un servizio ‘vuoto’ per ‘pieno’. Sarebbe un paradosso. Il personale verrebbe pagato due volte, una dallo Stato con la cassa integrazione e un’altra volta dai Comuni”. Il presidente dell’Anci propone di pagare solo le spese fisse a chi non svolge un servizio: locali in affitto, ammortamento dei mezzi. Uno scontro che rischia di essere insanabile e che può risolversi solo con una ri-progettazione dei servizi.

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