di uno Specializzando all’ultimo anno in Chirurgia generale all’Università La Sapienza di Roma

La seguente è una lettera critica, rivolta alle direzioni sanitarie, alle università e al governo, o meglio a chi ha governato la materia di cui in oggetto; passata la fase clou dell’emergenza ritengo che la si possa inviare senza cadere nella strumentalizzazione politica, con lo scopo di evidenziare un grosso problema per poterlo migliorare.

Non è certamente un mistero la sorte toccata al personale sanitario italiano durante quest’epidemia. A fronte di un abituale scarsissima considerazione del proprio operato, anche sotto il profilo remunerativo secondo l’Ocse siamo i penultimi in Europa; di concerto siamo tra i tre paesi al mondo (insieme a Polonia e Messico) dove vige la responsabilità penale per l’atto medico.

Ora, pur volendo far finta di ignorare lo sciacallaggio di certi studi legali che ha costretto il presidente del Consiglio a chiedere la sospensione delle cause contro il personale impegnato nell’emergenza, c’è da sottolineare come per quanto riguarda il personale medico in formazione, o in attesa di, si sia comunque fatto ricorso ai soliti ignoti.

Per chi non lo sapesse o non avesse seguito le vicende, da anni in materia di formazione si discutono fondamentalmente 3 problemi:

1) abilitazione alla professione post-laurea;

2) imbuto formativo per quanto riguarda l’ingresso in scuola di specializzazione: nonostante le previste necessità di nuovi specialisti non vengono erogate abbastanza borse di specializzazione a fronte di un sempre maggiore numero di ammessi alle facoltà di medicina;

3) carente formazione e sfruttamento degli specializzandi per sopperire alle mancanze di organico.

Con il pretesto (passatemi il termine) dell’emergenza si è deciso per l’ennesima volta di cavare sangue dalle rape, ovvero sia dai giovani medici in formazione. Difatti dopo anni che veniva richiesta anche per i medici la laurea abilitante, così come avviene già per le altre professioni sanitarie, finalmente si è data un’improvvisa accelerata a un iter che, seppur già in sperimentazione, sembrava avere tempi lunghissimi di normalizzazione. Ma a che scopo?

Non è mistero nemmeno che il personale medico neo-abilitato sia stato fatto oggetto di concorso dalla protezione civile e dall’esercito per poter essere impiegato nelle zone rosse, seppur magari con compiti di minor responsabilità. E questo è il primo punto dolente: un medico neo-abilitato non è assolutamente pronto a fronteggiare situazioni di emergenza, manca la conoscenza pratica di come maneggiare farmaci e protocolli diagnostici, terapeutici e di sicurezza che si acquisisce in specializzazione o durante le varie sostituzioni, guardie ecc. svolte in situazioni più controllate.

Tanto più che nemmeno gli specializzandi né gli specialisti di discipline non attinenti sono preparati, né utili (chi scrive è specializzando a fine percorso in chirurgia generale). Nonostante la gavetta in più, viene quindi naturale chiedersi come possa ritenersi preparato qualcuno che a fine laurea non ha mai dovuto gestire una situazione controllata, figuriamoci un’emergenza/urgenza.

Altra nota dolente: gli specializzandi! Sono stati banditi concorsi per l’assunzione a tempo determinato di personale (stavolta di specialistiche attinenti) da impiegare in surplus per l’emergenza. Tali concorsi erano aperti anche agli specializzandi degli ultimi anni, che sarebbero stati temporaneamente investiti del ruolo, delle responsabilità e della retribuzione di uno specialista. Ovviamente qui il discorso è diverso dal punto di vista della preparazione degli addetti ai lavori, ma non dal punto di vista economico e “morale”.

Uno specializzando viene già retribuito su base mensile con una borsa di studio erogata dal Miur o dalle regioni precedentemente stanziata; ergo per raggiungere la quota di retribuzione di uno specialista le Asl, gli enti governativi o chi per loro devono solo aggiungere la differenza di retribuzione. Personalmente trovo questa sorta di dumping scorretta nei confronti dei neo-specialisti, che a fronte della decennale carenza di concorsi in ambito pubblico vanno a ingrossare l’esercito delle partite Iva, con condizioni economiche ancora più inferiori rispetto ai già bassi stipendi di base.

Insomma ci sembra che come al solito a venir meno sia la giusta considerazione, economica, sociale e morale di un personale sanitario già sufficientemente vessato; a cui si è chiesto per l’ennesima volta un ulteriore sforzo, che è stato per l’ennesima volta concesso per un dovere morale che ci sentiamo di attendere ma che lascia sempre più l’amaro in bocca.

Non basta la legge Gelli, non sono ancora sufficienti i concorsi nel settore pubblico, non sono sufficienti le borse di specializzazione erogate, ma sono sufficienti i pluridecennali tagli ai finanziamenti che ha subito il Ssn a favore dei finanziamenti alla sanità privata convenzionata. Eppure mi sembra che in queste situazioni a rispondere sia stata sempre e solo la sanità pubblica e le Ong e che se ne siano fatti carico sempre i soliti ignoti.

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