I genitori di Daniel Pearl, il giornalista del Wall Street Journal decapitato e fatto a pezzi da un gruppo di fondamentalisti islamici pakistani nel 2002, hanno fatto appello alla Corte Suprema di Islamabad dopo che una sentenza d’Appello, dopo 18 anni, ha ribaltato la condanna a morte in primo grado per i quattro sospetti assassini del figlio. Il tribunale ha disposto la scarcerazione immediata per tre degli accusati, che sono stati assolti in secondo grado, mentre al quarto, Ahmed Omar Saeed Sheikh, considerato l’ideatore del rapimento e omicidio, la condanna alla pena capitale è stata commutata in 7 anni di carcere, tutti già scontati.

Una decisione, quella presa giovedì dai giudici, che ha scatenato polemiche a livello internazionale e anche all’interno del Paese, tanto che il ministero dell’Interno ha deciso di trattenere i quattro accusati in carcere per altri tre mesi, in attesa del pronunciamento della Suprema Corte. “Abbiamo presentato ricorso su questa sentenza alla Corte Suprema del Pakistan – ha dichiarato in un video Judea Pearl, padre di Daniel – Ci appelliamo alla giustizia e non solo per nostro figlio, ma per tutti i nostri cari amici in Pakistan, perché possano vivere in una società senza violenza né terrore e possano crescere i loro figli in pace e armonia”.

La storia di Daniel Pearl ebbe grande risalto internazionale e la sua uccisione viene considerata la prima con tali modalità compiuta da un gruppo fondamentalista islamico dopo l’11 settembre. Un modus operandi che ha poi ispirato altre formazioni fondamentaliste, dall’al-Qaeda in Iraq di Musab al-Zarqawi fino allo Stato Islamico.

Pearl aveva 38 anni quando, nel gennaio del 2002, poco dopo gli attentati dell’11 settembre, si recò in Pakistan come inviato del Wall Street Journal per un’inchiesta sul fondamentalismo islamico nel Paese, collegato alle vicende che in quel momento interessavano l’Afghanistan. Nel corso del suo viaggio, sospettato di essere una spia della Cia e del Mossad, anche a causa del fatto che era ebreo, venne attirato in una trappola con la scusa di un’intervista a un alto esponente religioso del Paese che si pensava fosse collegato ai gruppi fondamentalisti locali, a Karachi. Ma dopo essersi presentato all’appuntamento, di lui si sono perse le tracce. Dopo tre mesi di trattative e contatti tra le autorità americane e membri di un gruppo jihadista, il suo corpo venne ritrovato un metro sotto terra, sezionato in dieci pezzi. Un mese dopo, un video che documentava la decapitazione del giornalista fu consegnato al consolato americano.

Le indagini sull’uccisione del reporter portarono all’individuazione dei quattro presunti assassini, con Ahmed Omar Saeed Sheikh che venne indicato come la mente del delitto. Questa vicenda ha incrociato anche quella di Khalid Sheikh Mohamed, terrorista pakistano considerato il pianificatore degli attentati alle Torri Gemelle e tuttora detenuto a Guantanamo: nel corso di un interrogatorio aveva confessato di aver ucciso Pearl con le sue mani, ma la dichiarazione non fu poi ritenuta valida perché “estorta con la tortura”. La storia di Daniel Pearl ha ispirato il libro d’inchiesta Chi ha ucciso Daniel Pearl? di Bernard-Henri Lévy.

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