Quando la mattina del 26 marzo il premier António Costa è intervenuto in un evento nel nord del Portogallo non immaginava di vedere di lì a poco estendersi la propria popolarità oltre i confini nazionali. Il suo “repugnante”, con la erre ben caricata, rivolto all’algido ministro delle Finanze olandese, Wopke Hoeskstra, che aveva proposto a Bruxelles di avviare indagini sul debito spagnolo, gli ha conferito un profilo internazionale.

Con quell’unico aggettivo il premier lusitano non stava difendendo il suo paese da un ingiusto attacco ma un principio più alto: la solidarietà verso la vicina Spagna, e i paesi del sud Europa in generale, bersaglio di antichi pregiudizi di quella parte di Europa che mal digerisce stili di vita diversi dal rigore luterano.

Nelle settimane successive sono seguiti non pochi apprezzamenti su tutta la stampa spagnola, soprattutto quando è apparso chiaro che alla decisa presa di posizione del Primo Ministro lusitano faceva da contraltare il silenzio di Madrid, che, seppure destinataria delle critiche, ha preferito il profilo basso della diplomazia, senza un’anima politica.

Il socialista António Costa è il premier del paese che dava la prima lettera ai P.I.G.S. – i paesi del sud visti con sospetto durante la crisi bancaria di un decennio fa -, oggi in verità molto è cambiato, il Portogallo ha acquisito credibilità, con buoni risultati economici e, fino allo scorso febbraio, una flessione costante del tasso di disoccupazione. Tutto nel solco di una linea progressista, con un chiaro segno europeista. Non è difficile sentire António Costa, nei vertici dei paesi dell’Europa meridionale o in consessi più allargati, affermare la necessità di una Unione stretta, prima di ogni altra cosa, dal vincolo della solidarietà.

Gli riesce facile ripeterlo in inglese, in francese o in castigliano, come buona parte dei portoghesi questo giurista di 59 anni ha dimestichezza con le lingue straniere, una rilevazione Eurostat attesta che tra gli europei meridionali i lusitani sono i più poliglotti (il 29% parla due lingue, il 25% addirittura tre).

Per molti, questo lembo d’occidente avrebbe tratto beneficio dalla sua posizione geografica nella lotta di questi mesi alla diffusione del coronavirus, in verità non è solo fortuna di essere frontiera estrema ma anche frutto di scelte azzeccate della politica.

Il Portogallo ha fatto tesoro, al pari della Grecia, di quanto accadeva attorno, ha fiutato il pericolo imponendo misure di isolamento con tempestività, già il 18 marzo quando i positivi accertati erano poco più di 400 (oggi sono 20mila, 780 i decessi, su una popolazione con oltre il 21% di ultrasessantacinquenni). “Il fattore tempo si è rivelato decisivo istituendo da subito zone pre-filtraggio nei principali nosocomi – spiega Giorgio Pace, biologo romano ricercatore all’Università di Braga. E poi – continua il biologo – altra arma utile è stata la risposta civica del popolo lusitano, tutti ad osservare le indicazioni del governo centrale, senza le tante voci stridule levatesi in altri paesi, Italia in testa”.

Lungimiranza e prevenzione non hanno guidato tutti i paesi: nella vicina Spagna già colpita dal contagio, l’esecutivo di sinistra irrazionalmente spingeva il suo popolo a partecipare alla tradizionale manifestazione femminista dell’8 marzo.

E’ pur vero che il Portogallo ha un sistema più centralizzato della Spagna, e della stessa Italia, non conosce il regionalismo spinto, e spesso pasticcione, né le rivendicazioni separatiste. In Catalogna sono ancora vive le polemiche sugli ostacoli frapposti dal presidente della Generalitat, il separatista Quim Torra, all’installazione di ospedali provvisori, operazione che presenta un peccato originale: le strutture andavano montate dall’esercito e dalla Guardia Civil, quindi dal potere centrale.

E poi ancora i partiti con rappresentanza nel Congresso di Lisbona hanno mostrato responsabilità, con l’opposizione di centro-destra guidata da Rui Rio pronta sin dal primo momento a tendere la mano al governo.

Atteggiamento ben diverso si è registrato nei palazzi di Madrid, qui solo poche ore fa, e dietro la spinta dell’opinione pubblica, il premier progressista Pedro Sánchez ha trovato un’intesa con Pablo Casado, leader dei conservatori, per avviare un dialogo attraverso apposite commissioni parlamentari.

La pax interna consente al premier portoghese di rimarcare certa grettezza del nord Europa, pochi giorni fa ha sparato altre cartucce sull’egoismo, più politico che finanziario, di certe Cancellerie. “Mi riferisco all’Olanda, naturalmente”, ha tenuto a sottolineare, chiedendosi, sprezzante, se il paese dei tulipani abbia ancora qualche interesse a far parte dell’Unione europea.

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