di Antonella Caroli*

Commissioni ispettive, linee guida, piani straordinari per la manutenzione e il consolidamento di infrastrutture viarie – viadotti, gallerie, ponti e strade – non bastano a scongiurare crolli e disastri. Attraversare un viadotto o una qualsiasi infrastruttura è ormai un rischio costante da non sottovalutare e che richiede un approfondimento da parte delle istituzioni e delle società delegate al controllo, alla gestione e alle manutenzioni.

Il recente crollo del ponte di Albiano sul fiume Magra ci ha messo nuovamente di fronte a un disastro annunciato: un altro ponte storico protagonista, come altri, di sperimentazioni nell’applicazione delle tecniche costruttive del cemento armato nella sua prima realizzazione del 1908 e, successivamente, nella ricostruzione del 1949 a seguito della distruzione degli eventi bellici.

Ormai è chiaro a tutti che queste opere non sono eterne e che durabilità e robustezza sono requisiti che, all’epoca non contemplati dalle normative, diventano sempre più essenziali per la sicurezza del traffico e delle persone, e più in generale per lo sviluppo del Paese. Il problema è capire in tempo utile il valore di un’opera. Non serve farlo quando questa è già crollata. Va invece considerata e valutata nell’ambito della storia delle costruzioni, e quindi, se degna di tutela e conservazione, vanno attivati tutti gli strumenti necessari ad evitarne crolli e distruzioni, che inevitabilmente portano alla perdita di vite umane.

Italia Nostra e Aipai (Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale) hanno iniziato, già con il Ponte Morandi, a elaborare idee e procedure affinché queste costruzioni infrastrutturali sperimentali possano eventualmente essere considerati Monumenti, anche se non rientrano nella monumentalità classica.

Le immagini del ponte di Albiano mostrano chiaramente il cedimento strutturale, con effetto domino, degli elementi portanti e lo scivolamento dei piani delle carreggiate che in pochissimi attimi hanno messo in pericolo la vita di chi passava su quella infrastruttura.

Il ponte originario, nato su progetto dell’ingegnere Attilio Muggia e con l’assistenza dell’ingegnere Nino Ferrari, costruito dall’impresa “Società per la costruzione del Ponte Caprigliola Albiano”, fu inaugurato nel 1908. L’ingegnere e architetto Attilio Muggia, forse meno conosciuto di Riccardo Morandi, fu tra i pionieri dell’utilizzo del cemento armato e tra primi progettisti di ponti in Italia. Insieme alla Porcheddu di Torino aveva le prerogative per il sistema che il belga Francois Hennebique brevettò nel 1892 per l’applicazione del cemento armato. Per la costruzione del ponte sul Magra furono necessarie fondazioni profonde, che richiesero l’utilizzo di particolari strutture idrauliche come i cassoni ad aria compressa sottofondati. L’opera superò brillantemente i collaudi, effettuati anche con una locomotiva aggravata da ulteriori carichi, superò il primo conflitto mondiale mentre nel 1944 fu distrutta dai bombardamenti. Nel 1949 gli ingegneri Arrigo Carè e Giorgio Giannelli, con l’impresa Ferrari, ricostruirono il ponte utilizzando le pile esistenti e riprendendo lo schema strutturale del ponte originario.

Nel dopoguerra furono migliaia i ponti ricostruiti nel nostro Paese. Chissà quanti altri casi a rischio ci sono in Italia e chissà chi controlla questi ponti davvero, chi studia tecniche di restauro almeno per quelli di una certa importanza (come questo sul fiume Magra), chi si occupa dei consolidamenti strutturali e chi di una seria e costante manutenzione in ogni caso di tutto il patrimonio infrastrutturale?

Sono questi i quesiti che Italia Nostra si pone e su cui vorrebbe avere delle risposte chiare e certe, perché non si può pensare di intervenire a disastro avvenuto.

*Consigliere nazionale Italia Nostra

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