Crolla a marzo il mercato europeo dell’auto. Nella regione EU+Efta+UK si sono registrate 853.077 immatricolazioni, ben il 51,8% in meno rispetto alle 1.771.030 dello stesso mese del 2019. Prendendo invece in considerazione il primo trimestre dell’anno, e ricordando che il mercato dell’auto era già in una fase di stagnazione a causa soprattutto della debolezza del canale privati, il calo è pari al 26,3%.

L’atteso effetto Coronavirus, dunque, è stato puntuale. Come spiega l’associazione continentale dei produttori Acea, la maggior parte dei concessionari del vecchio continente è rimasta chiusa (in Germania riapriranno la prossima settimana). Se a questo aggiungiamo le restrizioni alla mobilità e le conseguenze economiche dei lockdown più o meno graduali, una forte contrazione della domanda era inevitabile.

Il passo indietro ha riguardato un po’ tutti i mercati continentali, anche se quello italiano ha subito il contraccolpo più ingente: -85,4% con sole 28.326 vendite, mentre a marzo 2019 erano state oltre 194 mila. Seguono Francia (-72,2%), Spagna (-69,3%), Regno Unito (-44,4%) e Germania, dove tuttavia il calo è stato meno impattante (-37,7%). Trend confermato anche considerando i primi tre mesi dell’anno: Italia -35,5%, Francia -34,1%, Spagna e Regno Unito -31%, Germania -20,3%.

Per quanto riguarda i costruttori, il mese scorso Fca ha pagato il dazio più pesante con un -74,4% complessivo, figlio di un ridimensionamento generalizzato dei suoi marchi: Fiat -73%, Lancia -91,5%, Alfa Romeo -75,5%, Maserati -71,8% e Jeep -74,5%. Non molto meglio è andata ai francesi, con il gruppo Psa che ha perso il 66,9% e quello Renault il 63,7%. Battuta d’arresto, inferiore, anche per i tedeschi: gruppo Volkswagen -43,5%, gruppo Daimler -40,6% e gruppo Bmw -39.7%.

Per quanto riguarda gli altri, i coreani di Hyundai hanno perso il 48% mentre non è andata meglio ai giapponesi: Toyota -36,2%, Nissan -51,5%, Honda -60,6%, Mazda -62,6% e Mitsubishi -48,8%. Anche Ford ha fatto registrare un -60,9%, mentre Jaguar-Land Rover un -53,5% e Volvo -35,4%.

Come detto era una debacle prevista, ma non per questo è stata meno dolorosa. Non è un caso che a livello continentale si moltiplichino le richieste ai governi da parte delle associazioni di costruttori per sostenere un comparto, quello dell’automotive, che direttamente o indirettamente dà lavoro a 14 milioni di cittadini europei: incentivi all’acquisto, sgravi fiscali, sostegni alla filiera e ai concessionari, che solo nel nostro Paese sono 1.400.

Secondo Gian Primo Quagliano, del Centro Studi Promotor, in Italia è necessario un intervento forte: “Il modello sono i primi incentivi alla rottamazione che nel 1997 consentirono al mercato un incremento del 38,8%, un maggior gettito Iva che coprì il costo degli incentivi In Italia con un avanzo per l’erario di 1.400 miliardi di lire e un aumento del Pil, certificato da Banca d’Italia, dello 0,4%”.

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