“Dal punto di vista epidemiologico, possiamo cominciare a parlare della ‘fase due’ quando non ci saranno più contagi. A oggi ci sono vari modelli predittivi che collocano questo periodo tra la fine di aprile a metà maggio, ma è chiaro che non è possibile fare delle previsioni assolute. Prima di quella data cominciare a pensare di fare delle riaperture di qualunque natura è estremamente rischioso, perché il rischio che si ripresentino nuovi focolai è medio-alto, come è successo ad esempio a Hong Kong, dove si sono registrati casi di rientro”. Sono le parole pronunciate ai microfoni di “24 Mattino”, su Radio24, dal presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, che raccomanda: “Bisogna cominciare a mettere un po’ di paletti e mi auguro che questo venga fatto dal governo in tempi rapidi, perché le Regioni vanno un po’ per conto loro, motivo per cui non vorrei che ci fossero fughe in avanti”.

E aggiunge: “In Italia abbiamo avuto una diffusione dell’epidemia in direzione Nord-Sud con uno sfasamento temporale di circa 10 giorni dal Nord al Centro e di due settimane verso il Sud, quindi non possiamo ancora dire che siamo arrivati al ‘plateau’ o all’altopiano dei contagi. Aggiungo che oggi stiamo a un incremento percentuale dei contagi pari al 4% al giorno, che ovviamente dovrebbe tendere allo zero. Ma se valutiamo questo dato in un’ottica settimanale – continua – riscontriamo che nell’ultima settimana, che va dal 27 marzo al 3 aprile, l’incremento dei casi di contagio è del 39%, cioè stiamo abbastanza lontani da quello che è un momento di tranquillità. A livello centrale, la Protezione Civile dovrebbe modificare la comunicazione dei dati e cominciare a dare dei confronti settimanali, perché il dato giornaliero è troppo variabile“.

Cartabellotta spiega: “L’epidemia da coronavirus ha messo in luce tutte le criticità esistenti nel rapporto Stato-Regioni circa la gestione della sanità. Sappiamo che è materia di legislazione concorrente: allo Stato spetta l’erogazione del finanziamento pubblico e la definizione dei livelli essenziali di assistenza, alle Regioni, invece, tutta la parte di organizzazione e di gestione dei servizi sanitari. Non si può immaginare che le Regioni abbiano una policy diversa sui tamponi, sulle mascherine e sull’attuazione dei test sierologici – prosegue – E’ evidente che in una situazione di emergenza la catena di comando centrale doveva funzionare meglio. Ci siamo, allora, chiesti se questa non fosse una di quelle situazioni a cui applicare l’art.120 della Costituzione, articolo che, di fatto, interviene in tutte le materie di legislazione concorrente con modalità sostitutive del governo sui poteri delle Regioni, perché c’è un pericolo grave per l’incolumità o la sicurezza pubblica. Non è possibile essere troppo autonomi nella gestione di diversi aspetti, perché poi la catena delle responsabilità diventa catena degli errori“.

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