Minacciati e insultati perché tornati dalle “zone rosse” e qui, secondo molti, possibili portatori del virus. È quanto successo a molti volontari della Croce Rossa Italiana che nelle ultime settimane hanno prestato servizio nelle zone più calde per l’epidemia da coronavirus. Come è successo a Emilia Giovanni e Giovanni, rientrati dalla Lombardia a Taranto e subito messi in “auto-isolamento domiciliare, per precauzione”. “Abbiamo preso un appartamento – raccontano – Ma nel palazzo avevano paura. Ci hanno svegliato di notte dicendoci di vergognarci perché eravamo tornati per infettare”. Un episodio non isolato, come ha ricordato il presidente Francesco Rocca: “Vengono trattati come ‘untori’ e minacciati dai datori di lavoro di licenziamento o dai vicini di casa di ritorsioni – si legge in una nota – Questo stigma è intollerabile, assurdo e a dir poco autolesionista, visto che perpetrato ai danni di chi si prende cura di tutto il Paese senza sosta e con una tenacia incredibile”. Proprio per questo la stessa Cri già da alcuni mesi ha fatto partire la campagna “Non sono un bersaglio”, per sensibilizzare sul tema delle aggressioni agli operatori sanitari.
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