Fra i suoi molteplici (e nefasti) effetti, l’emergenza Covid-19 sta portando alla luce le fragilità del nostro frastagliato panorama lavorativo. Già domenica 23 febbraio, quando in alcune regioni si annunciava in tutta fretta la chiusura delle scuole per la settimana seguente, qualcuno tra le operatrici e gli operatori sociali impiegati dalle cooperative cominciava a chiedersi: “Se chiudono le scuole, che ne sarà del nostro stipendio?”. Inizialmente il livello di preoccupazione era piuttosto basso; quando però l’ordinanza è stata prorogata – prima di una settimana, poi di due – il campanello d’allarme è suonato.

Infatti le persone che, all’interno della scuola, lavorano per il cosiddetto Terzo Settore vengono pagate in base all’effettivo svolgimento delle proprie mansioni. Una volta si sarebbero definiti “cottimisti” proprio come il celebre protagonista del film La classe operaia va in paradiso interpretato da Gian Maria Volonté: se gli alunni sono in gita le operatrici e gli operatori non sono pagati; se il minore seguito risulta assente, non ottengono compenso. Sono le regole fissate nei bandi di appalto che regolano l’erogazione di questi servizi.

Stiamo parlando di diverse migliaia di educatrici e educatori delle Regioni più colpite dal Covid-19 (Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia e Liguria), che di norma lavorano con una paga oraria di circa 8 euro l’ora e che in questa emergenza corrono il rischio di perdere un quarto dello stipendio di febbraio, mentre gli operatori sociali di tutta Italia sono in attesa di capire che ne sarà di quello dei prossimi mesi.

In questa situazione di forte crisi e confusione, la Regione Lombardia e il Comune di Milano hanno inizialmente risposto in maniera contraddittoria chiudendo le scuole, ma tenendo aperti altri servizi (centri diurni, centri diurni disabili, assistenza domiciliare…). Nel frattempo le Cooperative hanno reagito in ordine sparso: alcune hanno fatto pressione affinché gli enti locali le sostengano in questo momento di grande difficoltà economica, altre hanno chiesto alle educatrici e agli educatori di considerare questi giorni come “ferie” o “permessi non retribuiti”, altre ancora di rendicontarli come “giorni non lavorati a causa del coronavirus”. La situazione si è ulteriormente aggravata con il blocco imposto prima alle Regioni più colpite con il decreto emanato nella notte tra sabato 7 e domenica 8 marzo (Dpcm n.59 dell’8 marzo 2020), poi esteso a tutta Italia con un altro provvedimento del governo Conte (Dpcm n.64 dell’11 marzo 2020).

Martedì 3 marzo si è svolto sotto la Prefettura a Milano un primo presidio lanciato da alcuni sindacati di base (Sial Cobas, Cub e Adl) insieme alla Rete delle Operatrici e degli Operatori Sociali per chiedere che i costi di questa emergenza non vengano scaricati su chi lavora, esigendo quindi l’erogazione del 100% degli stipendi. In quella sede è stata avanzata la richiesta di una continuità di reddito o perlomeno di un reddito di quarantena per tutte le categorie lavorative colpite dall’emergenza Covid-19.

Mercoledì 4 marzo – mentre giungeva da Bologna la notizia che il Comune aveva accettato di riconoscere e retribuire le ore perse dagli educatori – le centrali cooperative della Lombardia (LegaCoop e Confcooperative) siglavano un’intesa per intervenire con misure urgenti a sostegno delle lavoratrici e dei lavoratori colpiti dalle ordinanze restrittive. Questo accordo serve all’attivazione del Fis (il Fondo d’Integrazione Salariale, che coprirebbe al massimo l’80% della retribuzione e che di solito viene attivato per le crisi aziendali; in realtà la copertura reale è inferiore).

Il comunicato stampa dei sindacati confederali e la loro comunicazione sui social media spiegano che le singole cooperative hanno avuto tempo fino al 9 marzo per siglare l’accordo che rende possibile l’accesso al fondo, il quale coprirà le retribuzioni per le ore non lavorate tra il 24 febbraio e il 15 marzo. Non ci sono al momento dati disponibili sull’adesione delle cooperative e sul numero di lavoratori coinvolti, né quali possibilità restano alle cooperative che non hanno ancora siglato l’accordo, né se la copertura sarà prorogata oltre il 15 marzo.

La situazione dipende dunque dalle decisioni che verranno prese a diversi livelli: nazionale (l’attuazione del decreto del governo su cassa integrazione, sostegno al reddito generalizzato, congedi parentali, ecc.), locale (azione su appalti e convenzioni in essere con comuni, città metropolitane, aziende speciali, ecc.) e a livello di singola cooperativa (ricorso alle misure nazionali, decisioni autonome sulla gestione del personale).

In attesa di conoscere nel dettaglio il contenuto del decreto “Cura Italia”, atto a contenere gli effetti sanitari, sociali ed economici del Covid-19, la mobilitazione delle educatrici e degli educatori prosegue con l’obiettivo di veder riconosciuti i propri diritti esigendo l’intero stipendio come giustamente avviene per i docenti in quanto dipendenti pubblici. L’esempio del Comune di Bologna, che a seguito della mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori ha espresso la volontà di riconoscere le ore perse a causa dell’epidemia, mostra come sia possibile raggiungere questo obiettivo, dal momento che i soldi da destinare ai lavoratori sono già stati messi a bilancio e dunque sono nelle disponibilità degli enti locali.

Come Gigaworkers siamo solidali con tutte le operatrici e gli operatori sociali che rischiano di pagare di tasca propria il conto dell’emergenza e rivendichiamo con determinazione la continuità di reddito per tutte le lavoratrici e i lavoratori (https://unitadicrisi.tracciabi.li/).
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