Nove anni in Siria. Non è il titolo di un film di introspezione, ma un’istantanea della più grande crisi umanitaria dal dopoguerra. Nove anni di atroci violenze e immagini che vorremmo non aver mai visto. Una crisi umanitaria che ancora facciamo fatica ad accettare come reale.

Noi organizzazioni umanitarie siamo neutrali e imparziali: lo facciamo per il principio di centralità dell’essere umano, ci rivolgiamo indistintamente a qualsiasi persona in pericolo, senza distinzione o discriminazione di razza, genere, fede religiosa, nazionalità, appartenenza etnica o di classe. Ma questo non significa che non vediamo, che non siamo arrabbiate o stanche o che non sappiamo da che parte stare. Siamo dalla parte dell’umanità. Sempre. Dell’umanità inerme, ferita, merce di scambio, ‘danno collaterale’, morti da enumerare nelle prime pagine dei giornali.

C’è uno strano fenomeno per il quale quello che non vediamo non esiste. Le persone che muoiono lontano dai nostri occhi non ci somigliano. E allora dobbiamo fare lo sforzo di immaginare, di immedesimarci e accettare di provare dolore. Accettare che chi muore perché colpito durante gli scontri, chi ha perso la casa e muore di freddo è identico a noi. Che chi è ferito è esattamente come noi. E ha bisogno di cure e protezione.

Noi di Intersos lo conosciamo bene, il dolore. Lo guardiamo in faccia da 27 anni. Da 27 anni cerchiamo di raggiungere le persone che non hanno accesso alle cure, al cibo, all’acqua, a un luogo protetto. Per costruire condizioni e spazi di sicurezza e protezione.

Dal 2011, in Siria si contano più di 400mila morti a causa del conflitto, secondo le Nazioni Unite. E già questo è un dato difficile da accettare. Ma alla devastazione della morte e della violenza, si aggiungono altre nefaste conseguenze della crisi. A cominciare dal dramma dei rifugiati, a oggi arrivati a 6,8 milioni di persone.

L’assenza di documenti, la difficoltà di avere accesso alla tutela legale, l’apolidia come condizione per migliaia di bimbi e bimbe nati da famiglie in fuga, l’impossibilità di accedere ai servizi di base hanno caratterizzato e caratterizzano ancora la vita di molti rifugiati siriani.

La storia della Siria degli ultimi 9 anni sembra un’agonia interminabile, dentro e fuori i confini nazionali. Dentro, ancora oggi, con le 900mila persone che, in fuga dalle violenze dell’area di Idlib, si sono ammassate al confine con la Turchia, in cerca di sicurezza. Fuori, con le politiche europee di chiusura delle frontiere.

Proprio alla luce delle incommentabili violenze avvenute nei primi giorni di marzo, Intersos Hellas – filiale nazionale nata nel 2019, gestita in modo indipendente da personale greco ma ancora strettamente collegata a Intersos per valori, mandato e scelte strategiche – è arrivata con un team di emergenza a Evros, al confine settentrionale tra Grecia e Turchia, per garantire protezione e assistenza ai siriani appena fuoriusciti dai confini turchi.

Noi lo sappiamo bene, cos’è il dolore. Ed è il motivo per cui non possiamo restare inerti davanti a chi soffre, a chi è vittima di guerra, violenza, estrema esclusione. Non possiamo esimerci dall’essere in prima linea per difendere e soccorrere i più indifesi, le più vulnerabili, chi non ha colpa. Non possiamo esimerci dal fare tutto il possibile per dare risposta ai bisogni primari calpestati dalla violenza.

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