Il mio rientro in Brasile, dopo 6 anni di assenza, coincide con l’evento che cattura l’attenzione mediatica: la chiusura dell’accordo militare firmato da Donald Trump e Jair Bolsonaro a Palm Beach in Florida, che rinforza oltremodo l’amministrazione attuale, poiché il governo conta di entrare nel mercato nordamericano delle forniture militari, e facilitare così l’export di prodotti brasiliani all’interno dei 28 paesi della Nato.

Sull’altra sponda, gli excluídos brasileiros vedono le loro condizioni peggiorare notevolmente, ora che gli effetti del taglio di 1.111.043 famiglie dal programma di assistenza sociale Bolsa Familia – deciso dal governo e ultimato a dicembre 2019 – colpiscono in particolare il Nord Est, che ne ha subíto il 50%.

In Pernambuco, lo stato che ha come capitale Recife, a fine 2019 ben 164.000 famiglie che erano state abilitate al programma non hanno avuto accesso ai benefici. Il tutto nel quadro di un salario minimo mensile fissato in febbraio a R$ 1.045, equivalenti a 205 euro, con un cambio decollato a 5,10 R$ per euro. Un aumento ridicolo in due anni di 91 real, neanche 18 euro, a fronte del costo della vita lievitato tra il 20 e il 30% dal 2018, quando il cambio stava a 4,4 R$.

Traditori di tutti

Bolsonaro ha calcato la mano, ma da lui non ci si può certo aspettare che aiuti il Nord Est, bacino elettorale per eccellenza della cosiddetta esquerda istituzionale, rappresentata da Pt (Partido Dos Trabalhadores), Mdb (Movimento Democratico Brasileiro) e Psb (Partido Socialista) allegramente a braccetto per lunghi anni sia nell’amministrazione regionale che nazionale.

Partiti oggi decimati dai processi per corruzione attiva e passiva, con nomi prestigiosi in carcere, dove dovranno scontare lunghe pene detentive.

L’icona più rappresentativa a livello internazionale, l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, è stato scarcerato solo a novembre 2019 (dopo ben 580 giorni nella cella di Curitiba) in libertà provvisoria fino alla fine del processo d’appello; sul suo capo pendono almeno due sentenze di condanna in primo grado.

Ed è tragicomico constatare come Pmdb sia dovuto tornare al nome originario Mdb – quando era l’unico partito di opposizione alla dittatura militare – rifacendosi il trucco, con un maquillage rosso acceso, che però non inganna più nessuno, dopo che i suoi uomini-chiave, Michel Temer – ex presidente pro tempore – Romero Jucá e Sérgio Machado sono stati accusati di aver intascato mazzette milionarie durante il corso della maxi inchiesta Lava Jato, che ha fruttato al Grande Inquisitore Sergio Moro la poltrona di Ministro di Giustizia sotto Bolsonaro.

Temer è anche colui che ha dato fuoco alle polveri con Eduardo Cunha (suo compagno di partito, condannato a 24 anni per aver occultato 40 milioni di dollari americani di bustarelle Petrobras, recordman nella specialità) per l’impeachment su Dilma Rousseff, quando erano alleati del Pt.

Non solo: è stato proprio il “democratico” Temer a dare inizio ai tagli sui programmi sociali, dopo aver fatto approvare una vergognosa riforma del lavoro che penalizza oltremodo i più poveri. Traditori di tutti.

Lo schema di corruzione che ruotava intorno al colosso petrolifero Petrobras arricchendo lorsignori è costato all’economia brasiliana tra denaro riciclato e richieste di risarcimento circa 50 miliardi in real. Oltre a condurre il Paese verso la recessione e la disoccupazione per il conseguente crollo degli investimenti.

Era quindi prevedibile che Bolsonaro, già promotore di una riforma che aumenta l’età pensionabile e mira a ridurre vitalizi e privilegi, continuasse a tagliare i programmi sociali, usati tra l’altro come serbatoio di voti dai suoi nemici. E proprio il Nord Est amministrato da costoro per un decennio paga lo scotto più salato di una politica basata su speculazioni e devastazioni ambientali. Il Ceara, in mano al petista Camilo Santana, ha tuttora uno dei livelli salariali più bassi, mentre la Mecca di Fortaleza basa il suo cash-flow essenzialmente sul sesso facile, intorno al quale ruota la giostra del turismo.

Ma è Recife, amministrata dal socialista Júlio de Mello Filho, città ricca di tradizioni e di capitali insieme all’antico borgo coloniale di Olinda, ad aver subito un degrado costante nel tempo: nessun piano urbanistico degno di nota, a regolare un traffico che dopo São Paulo è forse il più congestionato del Brasile. La bella spiaggia di Boa Viágem è funestata dagli attacchi degli squali. I lavori senza controllo per allargare il Porto di Suape hanno distrutto gli estuari dei fiumi, che costituivano l’habitat dello squalo Toro, la cui specie si adatta alle acque dolci. Questi hanno sconfinato tra la gente, insieme al Tigre, abituato a seguire le navi che riversano i rifiuti in mare.

Un connubio letale: oltre 60 attacchi ai bagnanti in vent’anni, che han causato una trentina di decessi e diversi mutilati.
Con la sanità pubblica ridotta ai minimi termini, farmaci a caro prezzo e norme igieniche ignorate – oltre alle maglie larghe dell’aeroporto – qui il coronavirus troverebbe la strada spianata.

E a tal riguardo, dopo la notizia, già riportata due settimane fa, che il primo caso sospetto del Covid-19 in Brasile fosse stato individuato proprio all’aeroporto di Recife – una donna che veniva da Milano con scalo a São Paulo – a oggi ci sono già 136 casi accertati nel paese, di cui ben 16 nella metropoli paulista.

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