Sciopero dalle 7 di venerdì fino al 22 marzo degli operai, diretti e dell’indotto, dell’ex Ilva di Taranto. Sono state le sigle Fim-Cisl e Usb ad annunciarlo con una nota nella quale hanno spiegato ArcelorMittal dopo tre giornate di “vani confronti, continua a tergiversare in merito alle richieste delle organizzazioni sindacali che pretendono con forza di mettere in sicurezza i lavoratori del sito e dell’indotto, in linea con la piena applicazione” del decreto del presidente del Consiglio per contrastare il diffondersi del coronavirus.

Per i sindacati metalmeccanici l’azienda “in maniera irresponsabile ed unilaterale” ritiene di non dover avviare “una congrua riduzione della presenza del personale all’interno dello stabilimento” che invece per le organizzazioni è doverosa soprattutto per la “mancanza di dispositivi di protezione individuale come le mascherine”, per le carenze di adeguate contromisure organizzative dato che non si dovrebbero utilizzare autobus, mense e spogliatoi per contrastare il contagio del Covid-19.

“Crediamo – scrivono le segreterie provinciali di Fim e Usb – che in una fase altamente drammatica come quella che il paese sta attraversando, non si possa attendere rispetto alla salute dei lavoratori che rappresentiamo, lasciandola nelle mani di imprese irresponsabili”. La protesta, quindi, partirà domani fino al 22 marzo e coinvolgerà i lavoratori di ArcelorMittal e dell’indotto.

Su posizioni leggermente diverse, invece Fiom e Uilm che pur parlando di “proposte inadeguate” dall’azienda che avrebbe assunto un atteggiamento “irresponsabile” non ha aderito allo sciopero, ma hanno deciso di recarsi nelle prossime ore dal Prefetto di Taranto. “In assenza di risposte da parte dell’azienda e delle istituzioni locali e nazionali – hanno fatto sapere Fiom e Uilm – che garantisca, di fatto, una copertura normativa e salariale dichiariamo da subito l’astensione unilaterale delle attività come forma di autotutela”. Le due sigle hanno poi annunciato che proclameranno lo sciopero, ma solo a partire dal 16 marzo.

Nelle scorse ore anche il presidente di Confindustria Taranto, Antonio Marinaro, in una lettera inviata all’ad di Arcelor, Lucia Morselli, si è detto “preoccupato” per la situazione in fabbrica sottolineando di ritenere “non ulteriormente procrastinabili tutte quelle misure, anche quelle più drastiche, atte a garantire il rispetto delle importanti prescrizioni sanitarie soprattutto in riferimento alla distanza minima di sicurezza, alla limitazione dello spostamento all’interno dei siti e alla necessità inderogabile di precludere gli accessi agli spazi comuni”.

Il presidente degli industriali ionici ha quindi chiesto “con la massima urgenza di porre in essere tutte le misure atte a fronteggiare l’emergenza e a valutare, laddove dovessero insorgere problematiche non superabili, l’adozione di provvedimenti ulteriori di sospensione di attività e lavorazioni non interferenti con la continuità produttiva”.

Per Confindustria Taranto, quindi, la produzione non va bloccata, ma devono essere attivate una serie di misure per garantire sicurezza degli operai. In fabbrica la situazione è tesa: a ilfattoquotidiano.it, alcune fonti, hanno spiegato che per circa 8mila dipendenti ci sarebbero a disposizione solo qualche centinaio di mascherine. La stessa Confindustria ha denunciato nella sua missiva che la “la situazione si prospetta preoccupante anche sulla base delle segnalazioni che ci pervengono dall’interno dello stabilimento e che ci fotografano una situazione di assoluto allarme e criticità”.

A questo si aggiungono infine “le difficoltà rivenienti dalle drastiche riduzioni delle forniture necessarie all’esecuzione delle lavorazioni affidate alle nostre imprese, prime fra tutte quelle riguardanti i dispositivi di protezione individuali resi obbligatori per il rispetto delle misure di protezione sanitaria dei lavoratori”.

L’ex Ilva di Taranto, insomma, al momento come una sorta di zona franca nella quale le misure imposte dal Governo, stando a quanto scrivono sindacati e Confindustria, non sarebbero rispettate. Insomma, un nuovo conflitto salute-lavoro che, ancora una volta, si combatte tra le mura della fabbrica tarantina.

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