In un mondo scosso dal coronavirus, che sta rivoluzionando abitudini e routine, facendo cancellare riunioni, congressi e manifestazioni in quasi tutta Europa, c’è un continente dove l’8 marzo e la lotta femminista quest’anno è più presente e motivata che mai: l’America Latina. Dal Messico alla Colombia, fino al Cile e all’Argentina, sono numerose le manifestazioni e marce che sono state organizzate da mesi, tutte con un’unica colonna sonora di sottofondo. Le parole del collettivo femminista cileno LasTesis, El violador eres tu (Lo stupratore sei tu) scandiscono i passi delle migliaia di donne in strada a gridare le loro richieste con obiettivi ben precisi, accompagnate da bandiere e striscioni viola, colore simbolo dell’uguaglianza di genere, perché formato dal rosa e dall’azzurro, che rappresentano il sesso femminile e maschile.

“La rivoluzione sarà femminista o non ci sarà”, è una frase che si sente ripetere spesso. E in America Latina la protesta delle donne è sicuramente stata uno dei protagonisti non solo delle lotte di questi ultimi due anni, ma anche di cambiamenti importanti che si stanno apportando a società dove il maschilismo è ancora ben radicato, come dimostrano anche le uscite poco felici o disattente di alcuni presidenti.

Il cileno Sebastian Piñera solo un paio di giorni fa è arrivato a dire che “non è solo la volontà degli uomini di abusare, ma anche la posizione delle donne ad essere abusate”, mentre il messicano Andres Lopez Obrador ha deciso di dare inizio alla vendita dei biglietti per la lotteria che mette in palio un aereo presidenziale proprio il 9 marzo, giorno dello sciopero femminista proclamato nel suo paese.

In Messico, sconvolto dai femminicidi sempre più frequenti ed efferati (gli ultimi sono stati quelli della giovane Ingrid Escamilla e della piccola Fatima ma ogni giorno se ne contano almeno 10), decine di collettivi femministi sono scesi per le strade domenica 8 marzo a chiedere di fermare questi omicidi, a esigere giustizia per le donne violentate, assassinate o fatte scomparire, di tenere fuori da scuole e università la violenza maschilista, riconoscere il lavoro non remunerato, e avere una maternità libera e consapevole.

Lunedì 9 sarà la volta di #UnDiaSinNosotras (Un giorno senza di noi), sciopero in cui le donne sono chiamate a non essere presenti né al lavoro, per strada, all’università, nei negozi e a non svolgere alcun lavoro domestico. Proprio come se fosse un paese senza donne. “Se ci fermiamo noi, si ferma il mondo. Uniamoci a questa protesta simbolica, perché capiscano che stanno lasciando nel dimenticatoio il 52 per cento della popolazione”, spiega la convocazione dello sciopero.

In Cile invece questo 8 marzo ha un significato particolare, perché si inserisce nel cammino verso il referendum del 26 aprile, che deciderà se cambiare la Costituzione del Paese, redatta durante la dittatura. Una data ancora più importante, perché proprio questa settimana è stato approvato il progetto di legge che prevede che l’assemblea dei costituenti che saranno votati a svolgere questo compito, dovrà essere composta per metà da donne. Nella Costituzione del 1980 “la parola donna compare solo una volta”, rileva Sofia Brito, attivista femminista, la cui denuncia per molestie sessuali e sul lavoro contro un professore della sua università ha innescato gli scioperi universitari del 2018, che hanno portato anche all’avvio di un’agenda legislativa tesa a venire incontro alle donne (almeno sulla carta). “La nostra Carta ha permesso un sistema dove le donne sono cittadine di seconda categoria”, continua.

In Argentina a dominare questo 8 marzo è il verde dei foulard delle donne che da oltre due anni manifestano serratamente per la legalizzazione dell’aborto. Un progetto di legge che nel 2018 era passato alla Camera ma respinto al Senato, e che ora sembra avere buone chance di passare, perché lo stesso presidente Alberto Fernandez ha detto di volerlo fare. Dopo la marcia dell’8 marzo, il 9 le donne convocate dal Collettivo Ni Una Menos si riuniranno davanti al Parlamento per chiedere che venga votata la legge. Anche in Colombia si manifesterà per avere accesso ad un aborto legalizzato sempre, mentre nel Brasile di Jair Bolsonaro, stanco delle grandi proteste di quest’anno e con il movimento conservatore ed evangelico che avanzano, le manifestazioni femministe non sono arrivate e la disuguaglianza di genere non è tra i temi del dibattito politico.

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