Il sindacato dei militari sarà naturaliter un sindacato menomato. I lavoratori in divisa non potranno certo ottenere una libertà sindacale “piena”.

“Quanto ai limiti dell’azione sindacale va anzitutto ricordato il divieto di esercizio del diritto di sciopero“, hanno scritto i giudici costituzionali nella sentenza n. 120/2018. Poi spiegano: “Si tratta indubbiamente di una incisione profonda su un diritto fondamentale, affermato con immediata attuazione dall’art. 40 Cost. e sempre riconosciuto e tutelato da questa Corte, ma giustificata dalla necessità di garantire l’esercizio di altre libertà non meno fondamentali e la tutela di interessi costituzionalmente rilevanti”. Amen. Così la Corte ha voluto scongiurare improbabili slanci “rivoluzionari” del legislatore.

Al contrario, la Commissione Difesa sta preparando un testo base che rischia di vanificare il processo di sindacalizzazione. Sono riusciti persino a escogitare una regola palesemente incostituzionale come quella del “preventivo assenso” del Ministro per la nascita del sindacato (sic!). Eppure l’art. 39 della Costituzione, che stabilisce il principio fondamentale di “libertà sindacale”, è di una chiarezza assoluta: “L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica”.

Chiunque abbia poi sfogliato un qualsiasi testo di diritto sindacale sa bene che nemmeno quest’obbligo è stato mai rispettato. La prevista registrazione, condizionata a un controllo dell’autorità governativa, o amministrativa, sull’esistenza dell’unica condizione richiesta dalla disposizione costituzionale (un ordinamento interno a base democratica), è stata sempre considerata con sospetto dai sindacati, fermamente gelosi della loro libertà. Per fortuna sembra che almeno un emendamento, a firma di Matteo Orfini, cancelli la bizzarra “autorizzazione ministeriale”, sostituendola con la verifica successiva sulla democraticità degli statuti.

Altra curiosa regola che stanno amorevolmente confezionando è quella che attribuirebbe alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in deroga a tutte le normative vigenti, le controversie sui comportamenti antisindacali e quelle relative alle procedure di contrattazione nazionale, con possibili conseguenze negative sulle altre categorie di lavoratori. Così il militare, per veder riconosciuto un proprio diritto, dovrà pagare e combattere una guerra ad armi impari, rivolgendosi a un magistrato con limitati poteri istruttori.

Un altro emendamento di Orfini da un lato esclude questa aberrazione, depenna cioè ogni intervento del giudice amministrativo, dall’altro prevede la giurisdizione del tribunale militare per i comportamenti antisindacali.

Ebbene, a prescindere dalla futura normativa che potrebbe mutilare le nascenti associazioni (anche con riferimento alle materie di competenza), è inutile nascondere che l’espressione “sindacato militare” suoni ancora come un ossimoro. Il sindacalismo incontra forti ostacoli di tipo culturale, pure all’interno delle organizzazioni e finanche nei gradi più bassi della gerarchia.

Del resto, il vocabolo “sindacalista” è sempre stato utilizzato, nel mondo militare, nell’accezione negativa di “piantagrane”. Eppoi, in un ambiente privo of course di una tradizione sindacale, il pericolo che possano proliferare corporazioni autoreferenziali o sindacati “gialli” è molto elevato. Perciò sarebbe il caso di prevedere un divieto esplicito di costituzione di sindacati di comodo, in linea con l’art. 17 dello Statuto dei lavoratori.

A prescindere dalla disciplina che verrà approvata, i nuovi sindacati – privi del diritto di sciopero, cioè del principale mezzo di lotta sindacale – dovranno fare tutto il possibile per costruire un rapporto fruttuoso con le altre organizzazioni sindacali. Altrimenti, oltre che connotati da nocive logiche corporativistiche, si riveleranno troppo deboli e quindi del tutto incapaci sia di migliorare le condizioni di vita e di lavoro del personale, sia di dare un effettivo contributo all’efficienza degli apparati militari.

Dobbiamo allora far tesoro dell’esperienza vissuta dopo la legge n. 121/1981 ed evitare, come ha scritto a ragione il senatore Vincenzo D’Arienzo, “l’impoverimento corporativo” delle nascenti associazioni sindacali.

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