È stato il dibattito più brutale tra quelli tenuti sinora. I candidati democratici alla presidenza si sono ritrovati a Las Vegas, alla vigilia dei caucus del Nevada, e si sono scontrati su tutto. È stata la presenza di Michael Bloomberg sul palco a scatenare gli attacchi più furiosi. Dal trattamento delle donne nella sua azienda all’uso spericolato dello “stop and frisk”, le politiche di fermo e perquisizione che Bloomberg ha imposto da sindaco di New York e che hanno colpito in modo sproporzionato i giovani maschi neri e ispanici, l’ex primo cittadino della Grande Mela ha ricevuto un’accoglienza che rimarrà nella storia dei dibattiti tv. Non si è difeso bene, anzi. In diversi momenti è parso in difficoltà. In altri è letteralmente crollato. Elizabeth Warren, sinora la più “gentile” tra i candidati, è stata la sua accusatrice più spietata.

L’esordio di Bloomberg nelle primarie democratiche era particolarmente atteso. Entrato in corsa più tardi rispetto agli altri, l’ex sindaco ha scelto una strategia particolare. Non presentarsi ai primi quattro appuntamenti – Iowa, New Hampshire, Nevada e South Carolina – per fare il suo ingresso ufficiale nel Super Tuesday del 3 marzo, quando voteranno 14 Stati e verrà assegnato circa un terzo dei delegati totali. In attesa del 3 marzo, Bloomberg ha scatenato una vera e propria guerra degli spot tv, investendo 400 milioni di dollari della sua fortuna personale. La strategia ha pagato. Un sondaggio Npr/Pbs/Mariv lo dà al 19% dei consensi su base nazionale, secondo solo a Bernie Sanders. Restavano però un paio di domande. Cosa avrebbe fatto Michael Bloomberg fuori dall’ambito rassicurante della pubblicità televisiva? Come avrebbe retto di fronte ai prevedibili attacchi degli altri sfidanti?

IL “MASSACRO” DI BLOOMBERG – La risposta, per lui, non è stata positiva. A Bloomberg non è stato risparmiato nulla: dagli attacchi alla sua ricchezza personale alle accuse di sessismo e razzismo. L’alfiere della “brutalizzazione” di Bloomberg è stata, soprattutto, Elizabeh Warren. La senatrice del Massachussetts aveva sinora seguito una strategia conciliante, moderata, discorsiva. “Mai attaccare i compagni democratici”, era la sua linea. Di fronte a risultati non buoni in Iowa e New Hampshire, e alla caduta nei sondaggi, ha cambiato tattica. Bloomberg è stato l’oggetto della sua furia retorica. Il dibattito era iniziato da qualche minuto quando la senatrice ha sferrato il primo colpo. “Vorrei parlare di colui contro cui corriamo in queste elezioni. Un miliardario che chiama le donne gallinelle grasse e lesbiche dalle facce da cavalli – ha detto Warren – E no, signori, non sto parlando di Donald Trump. Sto parlando del sindaco Bloomberg”.

Dopo aver messo in dubbio l’opportunità per i democratici di nominare un miliardario arrogante, per sostituire un altro miliardario arrogante, Warren è passata al capitolo delle accuse di discriminazione contro le donne. Bloomberg aveva appena detto di non “tollerare alcuna forma di sessismo” e che Bloomberg News, la società di informazione finanziaria su cui ha costruito la sua fortuna, è considerata il secondo miglior posto in America dove lavorare. Warren è partita lancia in resta. “Lo avete sentito? – ha detto ironicamente -È stato carino con le donne!”. Ricordando che ci sono dozzine di accordi economici riservati, in cui le lavoratrici di Bloomberg News hanno rinunciato a far causa per abusi sessuali e discriminazione, Warren ha chiesto a Bloomberg: “Sindaco, sei pronto a liberare tutte quelle donne dal vostro patto di riservatezza?”. Bloomberg ha provato a rispondere: “Beh, si, ci sono alcuni di questi accordi”. “Quanti?” ha incalzato Warren. “Ci sono degli accordi tra le due parti. Le donne hanno firmato e non c’è altro da dire”, ha concluso Bloomberg, tra brusii di disapprovazione del pubblico.

Non è finita qui. Come ampiamente previsto, è stato toccato anche il tema spinoso dello “stop and frisk”. È girato anche un audio, in cui Bloomberg diceva che “puoi prendere un sospetto, fotocopiarlo e passarlo alla polizia. Sono tutti uguali. Maschi. Minoranze. Tra i 16 e i 25 anni”. Negli ultimi giorni, il tycoon ha chiesto più volte scusa. Lo ha fatto anche dal podio di Las Vegas, spiegando di aver comunque capito che quella politica stava discriminando neri e ispanici. Non è davvero così: fu un tribunale a chiedere alla città di New York di sospendere lo “stop and frisk” perché anticostituzionale. Anche in questo caso, Warren ha lanciato l’attacco più feroce. “Lo ‘stop and frisk’ ha causato dolore alle comunità di colore – ha detto la senatrice, tra gli applausi del pubblico – Mike, cercati un’altra difesa”.

Insomma, è stata davvero una serata no per Bloomberg che alla sua prima esibizione pubblica si è trovato di fronte alla realtà del confronto politico, molto diverso dagli spot tv comprati a suon di milioni. A questo va aggiunto che l’ex sindaco è stato messo in croce per non aver ancora reso pubbliche le sue dichiarazioni delle tasse e che lo stesso Donald Trump, impegnato in un comizio in Arizona, ha trovato il tempo di ironizzare su Mini Mike, come lo chiama, un riferimento al metro e sessantaquattro di altezza di Bloomberg. “Mi dicono che lo stiano prendendo a pugni”, ha detto ridendo il presidente. Il “massacro” di Bloomberg è stato così radicale che il moderatore del dibattito, Chuck Todd, gli ha alla fine chiesto: “Sindaco Bloomberg, ma lei dovrebbe esistere?”

CONTRO BERNIE SANDERS – A Las Vegas anche Bernie Sanders ha subito un trattamento piuttosto brusco. Niente di paragonabile a Bloomberg, ma per la prima volta idee e strategie del senatore del Vermont sono state oggetto di una vera disamina critica. Pete Buttigieg ha rinfacciato a Sanders la mancanza di trasparenza sulla sua salute. “Io sarei felice di farmi visitare e rendere pubblici i risultati”, ha detto Buttigieg, 38 anni, in un’allusione nemmeno troppo velata all’infarto che ha colpito Sanders alcuni mesi fa. Warren ha rinfacciato a Sanders la mancanza di risposte sulla fattibilità della sua riforma sanitaria. “I tuoi sostenitori non fanno altro che attaccare chi fa qualche domanda”, gli ha detto. Bloomberg lo ha accusato di essere “un socialista milionario che possiede tre case”. E durante il dibattito è emersa ancora la questione della Culinary Union, il potentissimo sindacato della ristorazione del Nevada che ha attaccato Sanders per la proposta di sostituire la loro, conveniente, copertura sanitaria con un sistema pubblico. Non sembra che nulla abbia però incrinato la strategia del senatore del Vermont, che viaggia ormai intorno al 31% dei consensi su base nazionale (sondaggio Npr/Pbs/Mariv) e che pare destinato a vincere facilmente in Nevada. Sanders è ormai, a tutti gli effetti, il candidato da battere. Gli scontri durissimi, al limite della distruzione politica, tra i suoi avversari non possono che favorirlo ulteriormente.

PERSI NEL GRUPPO – Il dibattito in Nevada è stato significativo anche per altro. Esso segna la probabile fine politica di Joe Biden, che a parte qualche colpo a Bloomberg non ha praticamente dato prova della sua esistenza. Biden ha avuto anche la disavventura di vedersi coperta la dichiarazione finale dall’intervento in sala di un gruppo che protestava per l’assenza dal dibattito dei temi dell’immigrazione. Palpabile nelle oltre due ore di discussione l’acredine tra Pete Buttigieg e Amy Klobuchar. I due rivaleggiano per il voto dei moderati e incarnano idee e valori dell’America bianca e dello Heartland. Non sembrano posizionati benissimo in Nevada, uno Stato con quasi il 30% di popolazione ispanica e il 10% di neri. “Mi piacerebbe che tutti fossero bravi come te”, ha detto a un certo punto, polemica, Klobuchar a Buttigieg. Per entrambi non è stata una buona serata. Ottima invece la performance di Elizabeth Warren, che deve essersi resa conto che competenza e civiltà non sempre pagano e che ha davvero affondato i denti nella carne degli avversari. Warren è la vera vincitrice della serata, tanto che il suo staff annuncia un aumento importante di donazioni durante il dibattito. Resta da capire se si tratta di un vero rilancio o se, invece, sia stato un fuoco di paglia, destinato a spegnersi con la fine della diretta tv.

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