di Claudia De Martino*

Giulio Regeni è stato brutalmente assassinato dagli apparati di sicurezza nazionale egiziana tra il 25 gennaio e il 3 febbraio 2016, ormai quattro anni fa. Da allora in Italia si sono succeduti quattro governi – Renzi, Gentiloni, Conte I e Conte II – ma nessuno di essi si è speso politicamente per fare chiarezza sulla morte di un connazionale innocente che rappresentava – per citare il regista Marco Tullio Giordana – “la meglio gioventù”.

Non solo: parte dell’opinione pubblica continua a considerare Regeni una spia o, peggio, uno sconsiderato che avrebbe meritato la propria triste sorte, avventurandosi in terre straniere dove non si sarebbe dovuto trovare. Sono gli stessi che incoraggiano i giovani a restare dove sono, a fermarsi (nel tempo e nello spazio), a ignorare la globalizzazione come se essa, a sua volta, ignorasse loro.

Non solo si sbagliano, perché non riescono a decifrare la realtà di oggi, ma negano quella stessa possibilità alle nuove generazioni, che sono più proiettate delle precedenti verso un mondo senza confini.

Quelle nuove generazioni che, nel suo splendido libro Giulio Regeni. Ricatto di Stato (Castelvecchi editore, appena uscito nelle librerie), il giornalista Camillo Arcuri definisce “ragazzi venuti dal futuro” perché cosmopoliti, dotati di una sensibilità multiculturale e capaci di muoversi a loro agio attraverso Paesi e ambienti profondamente diversi.

È il contrasto, che il libro di Arcuri illustra perfettamente, tra gli ideali di giustizia sociale e internazionalismo ciò che animavano Giulio e la sua ricerca condotta al Cairo, in un momento storico – il 2015 – in cui proprio quegli stessi ideali erano oggetto di una repressione sistematica da parte del regime.

Giulio era oltraggiato dal tentativo del governo egiziano di abrogare il diritto di sciopero nel settore pubblico (legge 18/2015), dopo la stretta già operata sui sindacati indipendenti in nome degli appelli alla stabilità e al contrasto al terrorismo. E commoventi sono le parole contenute, in un suo articolo riportato in appendice nel libro di Arcuri, in cui definiva la riunione dei sindacati indipendenti, illegalmente tenutasi al Cairo l’11 dicembre 2015, una prova di forza tale da rappresentare “un esperimento dal basso che potrebbe indicare a noi nuove traiettorie per un sindacalismo al passo con le trasformazioni imposte dalla globalizzazione nel ventunesimo secolo”.

Il libro di Arcuri è documentato, vigile nei toni – mai eccessivamente lirici -, sempre accurato nella ricostruzione degli eventi che hanno condotto all’assassinio di Giulio da parte dello Stato egiziano. Occorre pazienza, ma anche coraggio per restituire il complesso quadro degli indizi e delle prove, volontariamente annacquate da vari “poteri forti”: serve ricostruire una parte della storia recente dell’Egitto, che passa dal colpo di stato del 2013 contro i Fratelli Musulmani (che la comunità internazionale, inclusa l’Unione Europea, avvalora politicamente), alle elezioni del 2014, che vedono un plebiscito per il neo-Presidente al-Sisi, fino alle ultime del 2018 che riconfermerebbero il sostegno di cui il nuovo Faraone gode nel Paese, nonostante o proprio grazie al regime di paura instaurato da quegli stessi servizi segreti (Mukhabarat) che hanno ucciso Giulio.

L’assassinio di Giulio è drammatico non solo per le sofferenze del tutto gratuite che gli vengono inflitte in vita, ma perché rimane ostaggio di una storia molto più complessa della sua stessa ricerca. Nonostante lui si interessi solo ai sindacati indipendenti e alle aggressive politiche del lavoro neoliberiste del governo egiziano, rimane coinvolto in un giro di rivalità e interessi internazionali molto più grandi di lui.

In fondo al mare, ma appena a largo di Port Said, l’Eni scopre un giacimento di gas (Zohr) dal grandissimo potenziale, che rappresenta una nuova fonte energetica per il Mediterraneo e scatena la “corsa all’oro” tra le grandi aziende petrolifere, a loro volta protette dai rispettivi governi nazionali. Gran Bretagna, Russia e Italia si contendono i nuovi bacini, e le grandi potenze probabilmente non accettano che l’Italia, Paese “minore”, possa fare la parte del leone negli accordi con il Cairo. Per questo c’è interesse a boicottare il tavolo negoziale, di cui è forse prova parziale il ritrovamento del cadavere di Giulio proprio nel momento in cui è in visita ufficiale in Egitto la delegazione commerciale guidata dall’allora ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, il fatidico 3 febbraio 2016.

Supposizioni contenute in un memoriale anonimo sul caso di Giulio, recapitato all’Ambasciata italiana a Berna (i cui probabili autori egiziani sono esponenti della Fratellanza Musulmana o comunque dell’opposizione al presidente), da cui si apprende che la morte del giovane ricercatore non sia stata accidentale, ma conseguenza di azioni intraprese da vari servizi segreti egiziani in lotta tra loro, ma tutti operanti su commissione di alti gradi del governo, di azioni dei servizi segreti europei a difesa di miopi e concorrenziali interessi nazionali, e della miseria umana di una grande maggioranza di cittadini egiziani iscritti sul libro-paga del governo come delatori e spie per sbarcare il lunario.

Quella che emerge è la storia di un ragazzo brillante che si ritrova vittima di una trama di interessi troppo fitta per essere dipanata da un osservatore pure acuto come Giulio, di un governo italiano politicamente timido e contraddittorio nella sua azione diplomatica, e di una solidarietà europea latitante, se non del tutto assente, che, rinunciando a perseguire la verità sul suo caso, hanno condannato altri 2mila desaparecidos e oltre 60mila detenuti politici egiziani (dal 2013) a un secondo oblio.

* ricercatrice ed esperta di questioni mediorientali

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