Ora è nel posto che gli consentirà di dimostrarsi manager onesto. Questo il senso del discusso ritorno sulla scena di Carlos Ghosn. Una attesissima conferenza stampa da Beirut, paese d’origine della sua famiglia e destinazione finale di una fuga rocambolesca. “Non sono qui per raccontarvi come ho lasciato il Giappone“, dove l’ex amministratore delegato di Renault-Nissan si trovava agli arresti domiciliari da più di un anno per accuse di corruzione. Ha esordito così Ghosn, accompagnando la sua lunga arringa auto-assolutoria con una gestualità evocativa più degna di una presentazione alla stampa di un prodotto. Se stesso. “Non mi sono sottratto alla giustizia ma all’ingiustizia e all’oppressione. Non mi sento al di sopra della legge, ma so di avere i mezzi per far emergere la verità“.

Dunque non fugge, ma di certo è fuggito dalle domande, in un assolo da mestierante della retorica dove non sono mancati toni accorati alla famiglia, oltre ad una ricca serie di documenti visualizzati in uno schermo e su cui ha ricostruito la sua linea legale di difesa. Il suo essere nella ragione, come una evidenza minuziosamente rivelata. Tuttavia il personaggio non ha fornito dettagli su eventuali complicità nel viaggio verso il Libano. Anzi, la gratitudine verso il governo del paese dei cedri gli ha impedito di “nuocere ai suoi interessi”, ovvero di citare espressamente i vertici delle istituzioni giapponesi come corresponsabili del suo primo arresto il 19 novembre 2018. Pesanti allora le accuse: non aver dichiarato compensi per un totale di 9 miliardi di yen, circa 80 milioni di dollari, in un periodo compreso tra il 2010 e il 2017, oltre alla contestazione di una serie di illeciti finanziari, tra cui il trasferimento di circa 15 milioni di dollari ad una succursale saudita tra il 2009 e il 2012.

Altrettanto gravi oggi le reazioni da uomo libero, seppur per mancanza di un trattato di estradizione valido: “Oggi per me è un giorno felice perché sono finalmente libero di esprimermi e di spiegare. Mi sono battuto per 400 giorni per la mia innocenza, dopo esser stato detenuto in condizioni brutali che sono una farsa contro i principi fondamentali del rispetto dei diritti umani e della dignità”. Posizione per altro moralmente inaccettabile, vista la sua passata e disinvolta attività nell’intessere affari con paesi come il Marocco, notoriamente poco inclini ad un disciplinato trattamento carcerario. “Non ho firmato alcun contratto con Netlix“, ha poi aggiunto, smentendo che la sua storia diventerà una serie Tv. “Piuttosto sono volato verso la giustizia e via dalla persecuzione politica” ha ribadito Ghosn, che ha definito un complotto quello ordito contro di lui: “La procura e alcuni manager interni a Nissan sono stati in combutta. Sono stato arrestato e sono stato colto totalmente di sorpresa, come gli americani a Pearl Harbor”.

Una aggressione giapponese, con sui sarebbe stato “fatto fuori” perché ritenuto responsabile della presunta crescente influenza della francese Renault proprio sulla società giapponese Nissan. “Sono stato tradito dal Paese che ho servito per 17 anni. Tutto è cominciato quando nel 2017 sono cominciate le perdite per Nissan… c’era molto nervosismo… ed è allora che hanno concepito il complotto con la procura. In quel periodo stavo già negoziando con Fiat Chrysler Automobiles, parlavo direttamente con John Elkann, mentre adesso non c’è più una direzione strategica è hanno perso quello che non si doveva perdere. Alla fine Fca ha fatto la fusione con Psa. Ma come si fa a perdere l’opportunità di fondersi con Fiat Chrysler, di diventare il numero uno mondiale dell’industria, quando sono loro a venirtelo a chiedere e sei totalmente complementare?”. Protagonista sempre, anche nella storia che non è accaduta. “Dal mio arresto la capitalizzazione di Nissan è calata di 10 miliardi di dollari e quella di Renault di 5 miliardi. Hanno detto di aver girato la ‘pagina Ghosn’, ed è vero che lo hanno fatto perché non c’è più un piano e non c’è crescita, è stato solo un caso politico“. Poi l’avviso: “Posso fare tutti i nomi delle persone coinvolte”. Più che una minaccia, quasi l’annuncio di una sorta di polizza sulla vita.

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