“Quello ha fatto danni e continuerà a fare danni… finché qualcuno non gli fa i mussi tanti”. Cioè non lo picchia in faccia. Chi parla è Antonio Raso, ristoratore ad Aosta, che un anno dopo, nel gennaio 2019, sarà arrestato con l’accusa di essere uno dei capi della ‘ndrangheta nella Valle. “Quello”, secondo i carabinieri che hanno condotto le indagini, è il consigliere regionale Alberto Bertin. E che “danni” ha fatto Bertin, 53 anni, politico autonomista, federalista e ambientalista eletto in una lista civica, per meritarsi quella che appare come una minaccia indiretta, ancora più odiosa perché il destinatario è costretto su una sedia a rotelle?

Lo spiega lui stesso a ilfattoquotidiano.it: “Da oltre dieci anni dedico una parte significativa della mia attività nel consiglio regionale della Valle d’Aosta a denunciare la presenza, gli intrecci e la pericolosità della ‘ndrangheta nel nostro territorio”. Una presenza a prima vista spiazzante, fra nevi e alpeggi lontani mille chilometri – fisicamente e idealmente – dalla Calabria. Ma che in realtà è ben radicata e documentata. Pochi giorni fa è stata svelata una nuova inchiesta scaturita da quella, denominata Geenna, che il 24 gennaio 2019 ha portato all’arresto di 17 persone, fra le quali lo stesso Raso, originario di San Giorgio Morgeto in provincia di Reggio Calabria. Al centro, il rapporto fra ‘ndrangheta e politica locale. Il presidente della Regione, Antonio Fosson, autonomista centrista, indagato per scambio elettorale politico-mafioso, si è dimesso. E’ uno dei tre presidenti regionali che in campagna elettorale si sono dati da fare per incontrare i fratelli Di Donato, anche loro, secondo l’inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Torino, al vertice della ‘ndrangheta valdostana.

Consigliere Bertin, come sono state accolte le sue denunce in questi anni?
In Valle d’Aosta c’è stata una grave e colpevole sottovalutazione, in primis della politica che ha preferito guardare da un’altra parte. Una presenza ultradecennale, quella della ‘ndrangheta, che negli anni Novanta vide addirittura degli omicidi riconducibili a faide dell’Aspromonte. La Valle fu anche lambita dalla maxi-inchiesta piemontese Minotauro. Nel 2011 è scattata l’operazione “Tempus venit” su una serie di estorsioni, e il processo si è concluso con diverse condanne, in primo grado, con l’ aggravante mafiosa.

Non sono mancati neppure gli arresti eccellenti.
Più recentemente sono stati confiscati in via definitiva i beni di Giuseppe Nirta in regione. Quest’ultimo fu arrestato qui insieme ai suoi nipoti, i fratelli Di Donato, nel 2009, per traffico internazionale di stupefacenti provenienti dalla Colombia. Altre indagini evidenziavano collegamenti diretti tra i vertici dei clan della ‘ndrangheta in Calabria e diramazioni locali. Nonché, come si è visto nell’ultima inchiesta, la possibile presenza di una “locale” di ‘ndrangheta ad Aosta. Per citare le cose più eclatanti.

Motivi di preoccupazione non mancavano, insomma. La politica locale come reagiva di fronte ai suoi allarmi?
Mi davano del visionario, della Cassandra. Mi sentivo dire che volevo danneggiare l’immagine della Valle d’Aosta, ma era vero il contrario. Qualcuno, probabilmente, non riusciva davvero a credere che da noi la ‘ndrangheta fosse così radicata. Ma altri mi attaccavano e negavano per convenienza, perché beneficiavano di quel sistema.

Era il 2012 quando in Consiglio regionale lei ha chiesto l’istituzione di un Osservatorio permanente sulle associazioni criminali di tipo mafioso. Com’è finita?
La mia proposta di legge non è mai passata, nonostante le inchieste e i cosiddetti reati spia, incendi dolosi e danneggiamenti, evidenziassero un serio problema. Fu istituita, sempre su nostra richiesta, una Commissione consiliare speciale sulle infiltrazioni mafiose che durò solo una manciata di mesi perché la legislatura era alla fine.

E che cosa ne venne fuori?
Una relazione di maggioranza un po’ troppo “rassicurante”, per chi non voleva vedere la gravità della situazione. Io votai contro.

Calabria e Valle d’Aosta sono a prima vista mondi agli antipodi, anche se in Valle la comunità di origine calabrese è molto numerosa. Com’è possibile che la ‘ndrangheta sia entrata in contatto così facilmente con politici locali ai massimi livelli, e che anzi spesso fossero loro a cercare per primi il contatto con il mondo criminale, almeno a quanto emerge dalle carte giudiziarie?
Nella nostra regione, un certo modo di gestire le cose ha portato a un sistema in cui il settore pubblico pesa molto, sia in termini di posti di lavoro che di erogazione di fondi. Questo ha facilitato un diffuso meccanismo di ricerca del voto clientelare non necessariamente legato a mondi criminali. Un contesto clientelare congeniale a queste organizzazioni criminali.

E adesso, con le dimissioni del presidente Fosson, che cosa succederà?
Il quadro che emerge dall’ultima inchiesta è grave e preoccupante. Ma la politica valdostana è complicata. Non mi faccia fare previsioni….

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‘Ndrangheta, il paese di Malpensa da trent’anni in mano allo stesso clan. Tra omicidi, minacce, omertà e voti comprati

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