di Aurora Notarianni *

Una delle più importanti forme di tutela dei lavoratori subordinati è costituita dalla disposizione del codice civile che prevede che le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi non sono valide (Art. 2113 c.c.).

Ma quali sono i diritti indisponibili del lavoratore? Sono i diritti costituzionalizzati e quelli previsti da legge ordinaria o da contratto collettivo. I primi per il loro valore sociale o politico o in quanto ineriscono la persona sono totalmente indisponibili, risultando ogni atto dispositivo radicalmente nullo. Ad esempio non è possibile cedere i propri organi o scambiare il voto con il posto di lavoro, percepire una retribuzione insufficiente, rinunziare al riposo e alle ferie. I secondi, cioè quelli previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva, sono ad esempio il trattamento di fine rapporto, il preavviso, la risoluzione consensuale, i contributi previdenziali.

Ebbene, mentre è radicalmente nullo ogni atto di disposizione dei primi, dei secondi il lavoratore può disporre nelle sedi protette. Così come può disporre dei diritti disponibili, che sono tutti quelli che derivano da accordi individuali con il datore di lavoro e che possono essere oggetto di rinunzia o di transazione da parte del lavoratore.

Il limite dei diritti inderogabili previsti per legge o per contratto collettivo può essere superato solo quando le transazioni e le rinunzie sono sottoscritte davanti al giudice, in sede sindacale o amministrativa, nelle sedi cosiddette protette. In questi casi acquisiscono il carattere di definitività e non sono impugnabili, potendosi presumere la totale assenza di soggezione da parte del lavoratore.

Gli avvocati giuslavoristi da tempo chiedono di poter esercitare questa facoltà in sede di negoziazione assistita e così era stato previsto nel disegno di legge sulla riforma del processo civile. Ma il governo è intervenuto con il nuovo testo modificando la norma e prevedendo che la negoziazione assistita dagli avvocati possa avvenire solo per i diritti disponibili e non per i diritti inderogabili e, quindi, vanificando l’efficacia della norma.

E allora può davvero “presumersi” che il lavoratore sia meno garantito e che si trovi in stato di soggezione nel caso in cui abbia al suo fianco il difensore e non – come nelle sedi cosiddette protette consentite – un sindacalista, che nella maggior parte di casi è uno sconosciuto pre-scelto dal datore di lavoro?

Di fatto, in questi anni, come dimostrano le numerosissime conciliazioni sottoscritte a Confindustria, la sede assistita è stata tale per il datore di lavoro e non per il lavoratore. I giudici hanno già avuto modo di pronunziare la nullità di rinunce e transazioni per la mancanza di effettiva assistenza sindacale del lavoratore, così come quando il datore di lavoro ha fornito dichiarazioni non vere. In molti casi hanno messo in luce come la condotta delle parti integrava un vero e proprio raggiro per trarre in inganno il lavoratore.

In questo contesto non ha alcuna ragionevolezza la decisione di limitare la negoziazione assistita dagli avvocati – che è, invece, una sede conciliativa in grado di offrire garanzie ancora maggiori di quella sindacale. Infatti l’avvocato, a differenza di altri soggetti, è:

1. per legge universale il soggetto qualificato a offrire un elevato livello di tutela alle parti;

2. obbligatoriamente assicurato contro i danni eventualmente causati al proprio assistito;

3. vincolato al rispetto dei doveri previsti dal codice deontologico e tra questi quelli di indipendenza e fedeltà, diligenza e competenza, aggiornamento professionale e formazione, alla cui violazione conseguono le pesanti sanzioni.

Il codice deontologico, inoltre, prevede in modo specifico il divieto di impugnazione della transazione raggiunta con il collega.

Dunque, la negoziazione assistita degli avvocati solo per i diritti dei lavoratori già “disponibili” con la pretesa di maggiore tutela dei loro diritti indisponibili è frutto di un pregiudizio miope. Il limite non ha alcun senso, depotenzia lo strumento deflattivo e non rende merito alla funzione dell’avvocato, alla responsabilità, al suo impegno nella giurisdizione e alla sua quotidiana lotta per il diritto. Gli avvocati giuslavoristi auspicano che le ragioni esposte vengano tenute dal governo nella giusta considerazione.

*Avvocata giuslavorista, attenta al diritto euro-unitario e alla giurisprudenza delle Alte Corti, non trascuro la difesa nelle connesse materie di diritto penale. Dedico il mio impegno nelle istituzioni forensi, nelle associazioni dell’avvocatura e in altre no profit, per le azioni di genere, per la formazione e l’occupazione dei giovani e, più in generale, per la tutela dei diritti fondamentali con particolare riguardo al tema dell’immigrazione. La mia terra di nascita è la Calabria, la Sicilia quella di adozione. Vivo e lavoro a Messina ma adoro viaggiare.

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