Due telefonate con entrambe al centro la Libia, dove l’avanzata di Haftar prosegue e Tripoli chiede aiuto militare della Turchia per fare fronte all’offensiva. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha avuto colloqui telefonici prima col presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi, e poi con il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, che ha promesso un aggiornamento costante sulla crisi di Tripoli anche in considerazione dell’importanza strategica che lo Stato nordafricano riveste per l’Italia. L’Egitto è un alleato di Haftar, mentre dalla Russia sono arrivati in suo sostegno i mercenari del Warner Group, già impiegati in Siria e nel Donbass. Mosca ha però dichiarato di mantenere il dialogo anche con Sarraj, a capo dell’unico governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale. Proprio per trovare una soluzione alla crisi che dilania il Paese dalla caduta di Gheddafi nel 2011, intorno a metà gennaio è prevista la conferenza di Berlino.

L’obiettivo della comunità internazionale è quello di far sedere le parti al tavolo della Conferenza di Berlino, prevista per metà gennaio, e poi, seguendo la road map tracciata dall’Onu, un vero e proprio summit tra le parti libiche a Ginevra. Se il programma verrà rispettato, l’incontro di Berlino – che Erdogan vuole sia aperto anche a Tunisia, Algeria e Qatar – arriverà dopo il voto al Parlamento di Ankara sull’intervento. In questo stesso periodo poi si dovrebbe celebrare l’atteso bilaterale tra Russia e Turchia. Ufficialmente Erdogan e Putin si incontreranno per inaugurare il lancio del gasdotto TurkStream, previsto nei primi giorni dell’anno, ma appare evidente che sarà l’occasione tra i due per fare il punto sia sul dossier siriano che su quello libico, dove sono schierati su fronti opposti.

Le questioni al centro dei colloqui – Durante la lunga e articolata conversazione con Putin, riferisce una nota di Palazzo Chigi, si è discusso anche della crisi ucraina e di quella siriana, oltre che degli accordi bilaterali. Il comunicato del Cremlino riferisce che i due leader “hanno sottolineato la necessità di una soluzione pacifica” della crisi libica” ed espresso “il loro sostegno agli sforzi della comunità internazionale per promuovere un accordo intra-libico con la mediazione delle Nazioni Unite”. Putin e Conte hanno anche discusso della situazione in Siria e dei risultati del vertice dei giorni scorsi sull’Ucraina in formato Normandia (Russia, Ucraina, Francia e Germania). Un’ora prima Conte aveva avuto un altro colloquio telefonico, questa volta con con Al Sisi, sui temi della crisi libica, sulle sfide della regione mediterranea e sul tema della cooperazione bilaterale. Particolare attenzione è stata posta sulla ripresa dei contatti per l’urgente rilancio della collaborazione giudiziaria sull’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore torturato e ucciso in Egitto nel 2016.

La telefonata con il presidente egiziano Al Sisi arriva dopo le rivelazioni della commissione d’inchiesta sull’uccisione del ricercatore italiano: secondo il sostituto procuratore, Sergio Colaiocco e il procuratore facente funzioni di Roma, Michele Prestipino, gli apparati di sicurezza egiziani hanno messo in atto quattro depistaggi per tutelare l’immagine del Paese e incolpare soggetti stranieri per l’uccisione di Giulio Regeni. E a metterli in piedi, secondo le testimonianze di una delle persone coinvolte, è stato un “ufficiale della Sicurezza nazionale che faceva parte del team investigativo congiunto italo egiziano”. Uno degli uomini del Cairo, quindi, che aveva il compito di collaborare alle indagini con gli inquirenti italiani. Prima un autopsia falsa, per accreditare l’ipotesi di un incidente stradale. Poi il tentativo di costruire un movente sessuale, facendo ritrovare il corpo nudo. Alla vigilia della trasferta dei pm romani, il 14 marzo 2016, un testimone disse di aver visto Regeni litigare con uno straniero dietro al consolato italiano, quando in realtà il ricercatore si trovava a chilometri di distanza da lì. Un ultimo tentativo di depistaggio è legato invece all’uccisione di cinque appartenenti a una banda criminale, che gli inquirenti egiziani avevano indicato come gli autori dell’omicidio.

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