Difficile trovare manager capaci di ristrutturare e rilanciare le aziende in crisi, ancora più difficile che sappia farlo secondo me il neo commissario unico di Alitalia, l’avvocato Giuseppe Leogrande, ex commissario straordinario di Blue Panorama tra il 2014 e il 2016, a cui potrebbe essere affiancato come direttore generale Giancarlo Zeni, che di Blue Panorama è l’attuale amministratore delegato. Leogrande prenderà il posto dei tre commissari che hanno gestito la compagnia negli ultimi due anni – che in realtà sono stati quattro: dopo Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari, nominati a maggio 2017, Daniele Discepolo ha sostituito proprio l’ex dg Rai Gubitosi, passato nel frattempo alla guida di Tim (due aziende che non si occupano strettamente di trasporti).

Ai commissari spettava il compito di tirare fuori la società dalla crisi, tracciare un piano di salvataggio a cui avrebbe dovuto partecipare anche il gruppo Ferrovie dello Stato, e di preparare la formulazione di un’offerta finale per l’acquisto di Alitalia. La compagnia invece ha continuato a perdere oltre un milione di euro al giorno, divorando quasi tutto il miliardo e 300 milioni del prestito-ponte del governo.

La crisi di Alitalia, peraltro, non ha agevolato i competitor nazionali più piccoli, che hanno vissuto anch’essi crisi aziendali significative come quelle che hanno coinvolto le compagnie charter Blu Panorama e Livingstone. Per non parlare di Air Italy, che a settembre 2018 veniva data per risorta grazie all’ingresso nell’azionariato, con il 49 per cento, di Qatar Airways, vettore di bandiera dell’emirato: invece, a oltre un anno di distanza la società ha ridotto la sua flotta da 50 a 8 aerei e continua a vivere una situazione difficile.

Morale della favola: tutti i vettori italiani sono in crisi mentre il mercato domestico (Europa e Italia) è sempre più occupato dalla spagnola Vueling, dall’inglese Easy Jet, dall’irlandese Ryanair e dall’ungherese Wizz Air. E mentre i colossi Air France, British Airways e Lufthansa macinano profitti grazie alle tratte a lungo raggio.

In questi anni Alitalia è rimasta in vita con le ricapitalizzazioni pubbliche (per un totale di una decina di miliardi, compreso l’ultimo prestito-ponte), ma anche grazie ai tanti sussidi mascherati: ricchi co-marketing concessi da alcuni aeroporti in cambio di voli sullo scalo pagante; il mancato/ritardato pagamento delle tasse aeroportuali nei grandi scali nazionali; il versamento di consistenti contributi dalle regioni Sicilia e Sardegna per l’obsoleta ‘continuità territoriale’ (visto che sarebbe più economico costerebbe lasciare in concorrenza le tratte alle compagnie aeree per assicurare servizi minimi e tariffe a low cost).

Il regalo pubblico più consistente elargito ad Alitalia, tuttavia, sono stati i dieci anni di cassa integrazione di lusso: un decennio di sussidi in cui, nel frattempo, non è successo niente. È impossibile continuare con tutti questi aiuti di Stato, non solo perché si tratta di spesa pubblica sottratta a settori più strategici, con maggiori possibilità di rilanciarsi sul mercato e magari più bisognosi. Ma anche perché è proprio il mercato ciò che spaventa la politica: molto di più che l’evidente iniquità sociale creata (un baratro tra lavoratori iper-protetti, meno protetti e precari), a cui nessuno vuole pensare.

Da oltre dieci anni le forze politiche di ogni colore hanno preferito far sopravvivere un’Alitalia consociativa, che accontenta manager, politici e sindacati, piuttosto che mettere in discussione lo status quo del settore aereo. Meglio una forte corporazione che condiziona, influenza e si lascia influenzare dalla politica irresponsabile, in un bacio della morte con conseguenze disastrose su contribuenti e passeggeri.

Ora si vuole far credere a chi ha venduto Blue Panorama, che nel 2014 era schiacciata da 120 milioni di debiti e fu salvata da un concordato con le banche creditrici (le stesse di Alitalia): appare troppo poco per essere una speranza realistica.

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