A Londra il primo vertice Nato in cui la Cina entra in agenda e su Politico il segretario di Stato Mike Pompeo che avverte: “È cruciale che i Paesi europei non diano il controllo delle loro infrastrutture critiche ai giganti cinesi della tecnologia come Huawei o Zte” perché “con le capacità del 5G il partito comunista cinese può utilizzate l’accesso di Huawei o Zte nei Paesi europei per rubare informazioni o sabotare reti infrastrutturali critiche”. Il monito degli Usa all’Ue, che arriva nel giorno in cui a Bruxelles si riuniscono i ministri delle comunicazioni per discutere del 5G, si riferisce proprio ai rischi connessi agli accordi con Pechino e per la costruzione della tecnologia d’avanguardia per la trasmissione di dati mobili. Pompeo accusa gruppi hacker che hanno operato in accordo col governo di Xi Jinping “di aver attaccato dozzine di aziende europee e americane per rubare proprietà intellettuale e informazioni personali sensibili” e sottolinea come Pechino usi le sue tecnologia per perpetrare violazioni dei diritti umani e inasprire la repressione. E che la Cina costringe compagnie come Huawei a consegnare dati privati e sensibili raccolti tramite le sue infrastrutture.

Parlando nello specifico di Huawei, Pompeo scrive che “la società, con sede a Shenzhen, mantiene collegamenti con l’Esercito popolare cinese di liberazione. È coinvolto nello spionaggio nella Repubblica Ceca, in Polonia e nei Paesi Bassi, ha presumibilmente rubato la proprietà intellettuale da concorrenti stranieri in Germania, Israele, Regno Unito e Stati Uniti, ed è accusato di corruzione e pratiche corrotte in paesi come Algeria, Belgio e Sierra Leone. Huawei riceve un massiccio supporto statale che ingiustamente gli consente di tagliare i prezzi offerti dai concorrenti di mercato”. E propone un’alternativa europea ai colossi cinesi delle telecomunicazioni: “È urgente che compagnie affidabili costruiscono le arterie dell’informazione del 21esimo secolo. Compagnie europee come Ericsson e Nokia producono componenti per il 5G di alta qualità ed a prezzi competitivi, e anche la compagnia sudcoreana Samsung è in grado di farlo”. Fredrik Jejdling, a capo della divisione Business Area Networks di Ericsson, ha confermato che il gigante della tecnologia svedese ha “un ampio portfolio di prodotti 5G che forniamo a clienti in tutti i continenti. Come compagnia globale, noi siamo pronti a fornire i clienti in tutti i mercati”.

Huawei: “Accuse false” – Per parte sua Huawei “respinge categoricamente le accuse diffamatorie e false” diffuse dal governo statunitense, che definisce “maliziose e consumate”, dannose per la “reputazione degli Stati Uniti” e che rappresentano “un insulto alla sovranità europea”. Secondo la società cinese la posizione espressa da Pompeo è un insulto anche nei confronti delle “capacità tecniche” degli operatori europei del settore delle telecomunicazioni. “Ci teniamo – si legge tra l’altro nella nota – a essere assolutamente chiari: Huawei è una società privata al 100%, non controllata in alcun modo dallo Stato cinese e senza alcun massiccio sostegno da parte del governo“. Quanto alle accuse di spionaggio, la società sottolinea di “non essere e non essere mai stata” coinvolta in attività di questo genere e di avere una “reputazione straordinaria” nel campo della Cybersecurity e della protezione dati. Per Huawei l’approccio giusto alla delicata questione del 5G è quello basato sui fatti, un approccio adottato dall’Europa ed anche da Angela Merkel ed Emmanuel Macron. “Huawei – conclude la nota – è il partner naturale dell’Europa per lo sviluppo del 5G e per sostenere la sovranità digitale” del continente con soluzioni “sicure ed innovative”.

Germania: “Trovare linea comune in Ue” – Già il 27 novembre la cancelliera tedesca Angela Merkel, parlando al Bundestag, aveva sollecitato il Parlamento “a chiarire il nostro atteggiamento in Europa con la Cina” evidenziando come uno più grandi pericoli” è che “ogni stato europeo abbia un suo atteggiamento con la Cina, e che dall’Europa si diano segnali diversi”. Una strategia che “farebbe perdere la Cina e l’Europa”. Poi sollecitava l’urgenza di trovare una soluzione con la Francia e l’Europa per discutere gli standard di sicurezza per l’installazione della rete 5G. “In un mercato digitale, se ognuno fa per conto suo, non si va avanti”.

La scelta dell’Australia – Se Canberra non annullerà il divieto imposto a Huawei di operare nel 5G, pagheranno i lavoratori: nello specifico, salteranno in tutto il paese 1.500 posti di lavoro nell’arco dei prossimi 18 mesi. I calcoli riportati dal Financial Times sono di Jeremy Mitchell, direttore per gli affari pubblici di Huawei Australia, che ha anche annunciato che l’azienda perseguirà legalmente chi diffonde notizie false e lesive della sua reputazione, in Australia e altrove. “I nostri fornitori sono in gran parte piccole e medie imprese con circa 30 dipendenti, e in molti casi Huawei sta generando circa l’80% del loro fatturato, quindi senza di noi si trovano in grossi guai”, ha detto Mitchell. “Una volta presi in considerazione i subappaltatori impiegati dai nostri principali fornitori, siamo responsabili di circa 1.500 posti di lavoro nel settore delle costruzioni di telecomunicazioni locali. A meno che il divieto per Huawei sul 5G non venga annullato, questi posti andranno persi nei prossimi 18 mesi”. Mitchell ha anche reso noto che Huawei ha assunto come consulente strategico Xenophon Davis, uno studio legale fondato dall’ex politico Nick Xenophon e dall’ex giornalista investigativo Mark Devis. “Xenophon Davis ci fornirà un’assistenza cruciale mentre cerchiamo di difenderci da attacchi malevoli da parte di entità intenzionate a causarci danni alla reputazione”, ha affermato Mitchell. “Vogliamo assicurarci che la discussione sulla sicurezza informatica sia basata su fatti e non su insinuazioni infondate che purtroppo stanno dominando il dibattito attuale”.

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