Nelle amministrazioni pubbliche – ancor più che nelle aziende private – essere bravi, competenti, leali e determinati non è certo un pregio. Figuriamoci se quelle caratteristiche si sommano in una donna. Figuriamoci, poi, se quella donna è di colore.

La vicenda di Robyn Williams non è soltanto una storia di razzismo o di discriminazione sessuale. La sua esclusione dalla corsa al vertice di Scotland Yard incarna anche il timore di lasciare le redini della struttura investigativa alla poliziotta oggettivamente più capace e come tale in possesso di una autonomia culturale e professionale che, in determinate circostanze, potrebbe non essere gradita.

Robyn è stata “fatta fuori” perché sicuramente rischiava di trasformarsi in un simbolo. Un simbolo scomodo. Ma proprio la sua estromissione dalla pole position nell’avanzamento di carriera l’ha già tramutata in un emblema e le ha regalato una sorta di immortalità di copertura internazionale. La Williams è stata silurata dopo una condanna per detenzione di materiale pedopornografico sul proprio telefonino. L’addebito – che istintivamente inquieterebbe chiunque – merita però un doveroso approfondimento che è facile consenta anche ai più distratti una differente valutazione dei fatti.

La traversia comincia con l’inoltro di un video di pornografia infantile da parte di Jennifer Hodge, sorella di Robyn, a una lista di 17 persone presenti nella sua rubrica telefonica. Robyn non si accorge subito del filmato arrivatole via WhatsApp. Solo dopo otto ore cancella il messaggio e chiama la sorella per rimproverarla per l’inammissibile comportamento. Secondo i giudici avrebbe dovuto denunciare immediatamente i fatti e non tardare ad avviare le indagini (comportamento tenuto magari per non infierire sulla sorella, già sofferente di depressione e di gravi stati d’ansia).

Quella breve sequenza in cui un bimbo di cinque anni è abusato da un adulto, pur ricevuta senza che ne fosse stato sollecitato l’invio, è costata la carriera alla “wonderwoman” della polizia britannica. A nulla sono valsi 36 anni di lodevole condotta in servizio e l’infinità di riconoscimenti per le coraggiose e brillanti investigazioni portate a termine. La sua impeccabile e ineccepibile figura è stata indelebilmente macchiata da un messaggio WhatsApp che l’ha spedita alla sbarra con l’infamante capo di imputazione di pedofilia.

Le 200 ore di lavori socialmente utili non retribuiti non sono state sufficienti a mortificare Robyn Williams. La sua esclusione dalla corsa al traguardo più ambito è la vera condanna. A volte basta davvero poco a eliminare un competitor che potrebbe alterare equilibri già scossi dall’attuale presenza sulla poltrona più alta di Scotland Yard di Cressida Dick, donna e omosessuale.

Se si prova a pensare a quanti contenuti “inopportuni” piovono sui nostri telefonini tramite i sistemi di messaggistica istantanea, ci si rende conto che Robyn paga un prezzo che domani potrebbe toccare in sorte a ciascuno di noi. Non c’è bisogno di nascondere droga nell’auto o nell’appartamento di un avversario o di una persona ingombrante. Basta una manciata di clic.

E in tempi di esasperata conflittualità politica non mi sorprenderei affatto che simili dinamiche finissero con il concretizzarsi anche dalle nostre parti con chissà quali involontari protagonisti. In bocca al lupo, Robyn, siamo con te.

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