Sembrava che fosse finita e invece l’acqua alta torna ad allagare Venezia. Un’altra domenica con il fiato sospeso, perché alle 8.45 era stata annunciato un picco di 140 centimetri oltre il medio mare, fenomeno in ripetizione alle 21.40, ma con un culmine di 120 centimetri. Puntualmente la previsione del Centro Maree per il mattino si è verificata, seppure un po’ al ribasso. Il livello ha raggiunto i 129 centimetri alle 9. A quel punto è stata decisa la chiusura del ponte votivo per la Basilica della Salute. Il livello è rimasto fermo per quasi un’ora, toccando quota 130 alle 9.25. La marea non si decideva a rifluire in Adriatico. Finalmente, alle 9,50 è scesa a 127 centimetri e l’allarme ha cominciato lentamente a rientrare, alla velocità di un centimetro ogni deci minuti.

A queste quote camminare per Venezia non è facile, visto che il 60 per cento della città è in ammollo. Bisogna usare le passerelle, ma la piena del 12 novembre ha causato la perdita di 750 cavalletti e di 330 passerelle in legno, con qualche ulteriore limite alla copertura dei passaggi rialzati. Con il fiato sospeso anche per la prima della Fenice, dove va in scena il “Don Carlo”, prevista in serata. Siccome il teatro in queste settimane è stato allagato, c’è il rischio di nuove infiltrazioni.

In una giornata di pioggia continua, nel pomeriggio la manifestazione dei No Mose che, dopo un’affollatissima assemblea, hanno deciso di camminare per le vie di Venezia, esprimendo il proprio dissenso rispetto all’opera da 5 miliardi e mezzo di euro, ancora incompiuta dopo 16 anni, che dovrebbe salvare la città dall’acqua alta. Il corteo è partito da Campo Santa Margherita, per raggiungere le Zattere, quindi l’Accademia e campo Santo Stefano. La scelta delle Zattere ha un valore simbolico perché fu lì che a giugno una grande nave andò a schiantarsi contro un lancione e si rischiò un incidente gravissimo. La protesta dei No Mose si salda, infatti, con quella del Comitato No-Grandi Navi e dei giovani di Fridays for Future.

La parola d’ordine: chiedere al Comitatone, in calendario il 26 novembre a Roma, di bloccare la realizzazione dell’opera, evitando di continuare a spendere denaro pubblico che andrebbe invece investito in altri interventi di salvaguardia di Venezia, meno impattanti. La riunione interministeriale, presieduta dal premier Giuseppe Conte, avrà un ordine del giorno molto impegnativo. Dovrà discutere dei danni da acqua alta, del completamento del Mose, delle opere complementari, delle risorse per salvaguardia e Legge Speciale, dei marginamenti del sito di Porto Marghera e della messa al bando effettiva delle Grandi Navi.

Lo slogan: “Salviamo Venezia dal Mose, dal cambiamento climatico, dal sindaco Brugnaro”. Il ragionamento parte da una affermazione, sintetizzata in un documento discusso dall’assemblea che si è tenuta nella sala San Leonardo in Strada Nova. “Il Mose è il problema e non la soluzione (come vorrebbe Brugnaro). E’ nato non per salvare la città, ma per fare arricchire qualcuno. Ci è già costato 5,3 miliardi di euro, di cui un miliardo e mezzo bruciato in corruzione. Il Mose, lo dicono i tecnici, non funziona e non funzionerà. Inoltre, lo dicono gli scienziati, non regge il cambiamento climatico, visto che le Nazioni Unite prevedono un innalzamento del medio mare fino ad un metro entro il 2100”. All’obiezione che il Mose servirebbe ancor di più, replicano: “In questo scenario, un Mose ipoteticamente funzionante, dovrebbe rimanere alzato per oltre metà dell’anno, compromettendo lo scambio mare-laguna e decretando, di fatto, la morte di quest’ultima”.

Legato a queste tematiche c’è il problema delle Grandi Navi. “Tutti a Venezia sanno che l’Acqua Granda del 1966 fu aggravata dallo scavo del Canale dei Petroli che permise al mare di invadere la Laguna. Quello che allora non si sapeva ora si sa, finiamola con la manomissione del nostro ecosistema. Chi vuole (come il nostro sindaco) l’ingresso di navi sempre più grandi, magari indirizzandole a Porto Marghera, vuole nuovi scavi, tra cui il folle raddoppio del Canale dei Petroli. Esattamente il contrario di ciò che si dovrebbe fare per difendere la città dalle acque alte”.

Nella protesta intervengono anche i Fridays for Future, perché Venezia devastata dall’acqua “è diventata in questi giorni un simbolo mondiale degli effetti del cambiamento climatico e degli esiti drammatici della sua combinazione con un modello di sviluppo basato sulle grandi opere”. Di qui la richiesta di una moratoria sul Mose. L’alternativa? “Opere utili, a partire da quelle che mirano a rialzare il livello della nostra città, a ricomporre le difese naturali della Laguna e al ripristino della manutenzione ordinaria dei canali e delle fondamenta”.

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