Rischio scampato per Astaldi. Il Tribunale di Roma ha deciso che il piano di risanamento presentato a giugno e ammesso dai giudici fallimentari il 5 agosto, nonostante le indagini dei pm e gli esposti dell’Aduc sul suo attestatore Corrado Gatti, può andare avanti senza problemi. Oggi un collegio formato da tre giudici si è riunito in camera di consiglio in Viale Giulio Cesare e ha deliberato di respingere al mittente i dubbi dei commissari giudiziali di Astaldi, Stefano Ambrosini e Vincenzo Ioffredi, sul concordato preventivo del secondo gruppo italiano del settore costruzioni ancora in attesa di omologa.

Il Tribunale si disinteressa delle indagini in corso e per sette pagine si concentra invece sulla presunta mancanza del requisito necessario dell’indipendenza in capo all’attestatore del piano di risanamento, Corrado Gatti. “Alla luce di tale disamina che ripercorre i dati essenziali del piano attestato, può concludersi fondatamente – scrive il Tribunale Fallimentare presieduto da Antonino La Malfa – nel senso che permangono i requisiti formali e sostanziali che avevano condotto all’ammissione del concordato e dunque che debba essere esclusa la necessità dell’apertura di un procedimento ai sensi dell’art. 173 legge fallimentare”.

L’ombra che il Tribunale ha spazzato via è quella della revoca del concordato con possibile dichiarazione del fallimento. Le conseguenze per i 10mila dipendenti (e per il grande ‘Progetto Italia’ che parte proprio dall’approvazione del concordato basato sull’unione di Salini-Impregilo con quel che resta di Astaldi) sarebbero state nefaste. Solo oggi si è scoperto che il 7 novembre scorso, come si apprende leggendo il decreto del Tribunale, i commissari giudiziali hanno presentato “Integrazioni alla segnalazione di circostanze potenzialmente rilevanti ai sensi dell’articolo 173 della Legge fallimentare”.

Quell’articolo di legge è l’incubo di tutte le società in concordato. Prescrive infatti che i commissari giudiziali “quando risulta che mancano le condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato” devono riferire immediatamente al tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione e alla fine su istanza del creditore o del pm il tribunale può dichiarare il fallimento. Il punto sottoposto all’attenzione dei giudici fallimentari dai commissari oggi era l’indipendenza dell’attestatore dei conti del piano di risanamento di Astaldi.

Il professor Corrado Gatti, infatti, dopo essere stato scelto per svolgere questo ruolo che richiede requisiti di terzietà e indipendenza è stato nominato il 30 aprile 2019 consigliere di Banca Intesa. Il Tribunale “rileva che l’attestatore ha accettato l’incarico di consigliere di amministrazione della banca Intesa San Paolo, che non solo è creditrice di Astaldi, ma è anche finanziatrice (seppure indirettamente, posto che nell’impianto dell’operazione le banche intervengono a finanziare non direttamente Astaldi, ma il “Progetto Italia”, e tuttavia uno dei pilastri su cui si regge il concordato è proprio quello del finanziamento del progetto e, a cascata, dell’offerente Salini). Orbene, tale rapporto, esaminato nella sua effettiva portata, è tale di per sé da compromettere la serenità e terzietà del giudizio”. Poi il Tribunale ricorda “la previsione di un non irrilevante compenso pluriennale di 260mila euro annui” per “la partecipazione all’organo apicale della Banca” e aggiunge che “dall’accettazione di tale incarico derivano per il consigliere precisi e ineludibili doveri di lealtà e di agire nell’interesse di Intesa San Paolo”. Concludono i magistrati: “Trattasi di circostanze specifiche, concrete ed oggettive, tali da impedire che possa ritenersi la permanenza in capo al Prof. Gatti dell’indipendenza di giudizio in ordine alla procedura di concordato preventivo Astaldi, in ordine al quale Intesa San Paolo aveva il concreto interesse ad adottare delibere volte ad agevolare l’incasso dei suoi crediti”. Per di più l’attestatore nella sua nova veste di consigliere Intesa “ha partecipato e votato nell’ambito delle deliberazioni inerenti il “Progetto Italia” del 2 agosto 2019”.

Nemmeno i pareri dei tre luminari pro veritate e pro-indipendenza (Guido Alpa, Andrea Zoppini e Niccolò Abriani) hanno fatto cambiare idea al presidente Antonino La Malfa: “Tale conclusione – scrive con garbo il Tribunale – non sembra inficiata dalle pur pregevoli considerazioni dei pareri legali inviati ai commissari” perché “ va sottolineata la diversità della figura dell’asseveratore rispetto alle altre richiamate nei pareri. L’attestatore è infatti il “fulcro in funzione delle esigenze informative finalizzate alla tutela dei creditori” nulla a che vedere con il consigliere indipendente di minoranza della società.

Dopo avere scagliato queste parole dure come pietre sull’indipendenza di Gatti il lettore si starà chiedendo come abbia fatto il Tribunale a salvare il piano di risanamento di Astaldi da lui attestato. Per riuscire a conciliare capra e cavoli il tribunale ha fatto ricorso alla cronologia forzando un po’ la mano sull’importanza della prima proposta di febbraio, quella presentata prima che Gatti entrasse nel Cda di Intesa ma non approvata dal Tribunale. “Ciò premesso, va tuttavia rilevato in punto di fatto che la perdita delle connotazioni di indipendenza in capo al Prof. Gatti possono essere riferite temporalmente solo dalla data del 30 aprile 2019 in poi, mentre possono essergli pienamente riconosciute in precedenza rispetto all’ingresso nel CdA di ISP, quando egli non aveva assunto alcun incarico, obbligo e remunerazione nei confronti della creditrice”. Quindi per il Tribunale quando Gatti assevera il piano a febbraio è indipendente e “tale rilievo assume carattere essenziale ai fini della regolarità formale e sostanziale della procedura, posto che il deposito del piano e della proposta, corredato dalla relazione attestativa del Prof. Gatti è avvenuto in data 14 febbraio 2019, e quindi ben prima che, sia formalmente, sia sostanzialmente, si sia verificata l’assunzione dell’incarico in ISP; a tale ultima data, invero, l’asseveratore rivestiva pienamente i connotati di indipendenza e di conseguenza la domanda di concordato, successivamente ammessa con decreto del 5 agosto 2019, possedeva regolarmente i requisiti formali previsti”.

Il Tribunale si rende conto per primo che in quel ‘di conseguenza’ c’è un salto logico abbastanza ampio. Il piano approvato ad agosto non è quello di febbraio (impallinato dal parere del pm e da ben 15 rilievi dei giudici) ma quello di giugno, poi approvato ad agosto a seguito peraltro di alcune nuove attività di Gatti stesso.

Per salvare la ‘capra’ dell’attestatore oggi non indipendente insieme a ‘i cavoli’ dell’attestazione ieri e oggi indipendente, il Tribunale argomenta così: “Vero è che nel tempo intercorso tra aprile ed agosto 2019 sono stati prodotti dall’attestatore molti altri elaborati e che il tribunale non aveva ritenuto esaustiva la documentazione dapprima depositata, ma rimane il dato inconfutabile che il provvedimento con cui il tribunale ha ammesso la società al concordato è assolutamente riferibile, sul piano formale e sostanziale, all’attestazione resa il 14 febbraio 2019 e dunque che erano presenti e permangono tutt’ora i requisiti di ammissibilità del concordato richiesti dall’art. 161 legge fallimentare”.

Perché? Per i giudici l’attestazione del 19 giugno “non contiene mutamenti sostanziali o comunque talmente rilevanti da doversi ritenerlo quale nuova attestazione sostitutiva della precedente”. La decisione del Tribunale tiene fuori Astaldi e il concordato dai guai dei suoi commissari e dell’attestatore. Proprio la questione dell’indipendenza di Gatti era citata nel decreto di perquisizione notificato ai due commissari Francesco Rocchi e Stefano Ambrosini e all’attestatore Gatti il 30 ottobre scorso. Tutti e tre sono indagati per corruzione in atti giudiziari. Per i pm, i commissari Rocchi e Ambrosini “mettevano a disposizione dell’attestatore Gatti le pubbliche funzioni esercitate (…) in corrispettivo, si facevano promettere dall’attestatore Gatti (…) compensi sulla base dell’aliquota media (circa 36 milioni di euro) e non minima (circa 21 milioni di euro); compensi che Gatti in quei termini indicava nella relazione di attestazione (…) depositata in data 14 febbraio 2019”. Per i pm, i due commissari omettevano di rilevare -in violazione dell’obbligo previsto dagli artt. 161 comma 5 e 173 Legge Fallimentare – le cause di incompatibilità dell’attestatore Gatti, essendo stata da subito loro nota la nomina del Gatti a componente del CdA di Intesa San Paolo SpA, creditore della società Astaldi”.

Dopo avere ricevuto il 30 ottobre la notifica di queste accuse con la perquisizione i due commissari indagati hanno reagito diversamente: Rocchi si è dimesso. Ambrosini ha proseguito nella sua azione. Però con un cambio di passo sulla questione indipendenza di Gatti. La questione dell’indipendenza di Gatti è stata sollevata da un esposto dell’associazione dei consumatori Aduc datato 17 ottobre. Prima della perquisizione, in una telefonata del 19 ottobre secondo i pm “Ambrosini afferma di essersi già speso per Gatti, nel tentativo di sterilizzare e smorzare sul nascere la questione della incompatibilità“. Il 22 ottobre i tre commissari depositano un’informativa sulle notizie di stampa in merito. Dopo la perquisizione, lo stesso Ambrosini insieme all’altro commissario, che non è indagato, Vincenzo Ioffredi, prende di petto la questione. Dopo aver scoperto che i pm contestano a Rocchi e Ambrosini di non avere sollevato la questione dell’incompatibilità, il 4 novembre Ambrosinio con Ioffredi presenta a Tribunale una “informativa sui requisiti di indipendenza dell’attestatore” e il 7 novembre i due commissari superstiti insistono con “integrazioni alla segnalazione di circostanze potenzialmente rilevanti ai sensi dell’articolo 173”.

Il Tribunale si trovava quindi a dover giudicare sulla questione dell’indipendenza di Gatti in una situazione kafkiana: tra l’incudine del concordato che rischiava di saltare e il martello dei pm che basavano la loro accusa anche sull’ipotesi che Gatti fosse incompatibile e che i commissari avesssero sbagliato a non sollevare il tema dopo che lo stesso Gatti aveva accettato di attestare in loro favore compensi fino a 36 milioni di euro. Non era facile per il presidente della Sezione Fallimentare Antonino La Malfa e per i due giudici che con lui si sono riuniti in camera di consiglio, Angela Coluccio e Maria Luisa De Rosa, trovare la via d’uscita. Alla fine il provvedimento non smentisce le tesi della Procura, non accoglie quelle dei professori pro-Astaldi ma non fa venire meno la cosa più importante, cioè il piano di risanamento che rappresenta il primo mattone per costruire il colosso delle costruzioni definito ‘Progetto Italia’.

E Astaldi in serata ha emanato un comunicato in cui per la prima volta aggiorna sugli sviluppi giudiziari: “Astaldi S.p.A. in merito a quanto riportato nei giorni scorsi da diversi organi di stampa, relativamente a una indagine riferita a due dei commissari giudiziali e all’attestatore del piano concordatario, comunicando di aver appreso di tali indagini dai media, conferma che sta continuando il suo lavoro e che sta portando avanti il progetto relativo al concordato, nell’interesse dei creditori, dei bondholder, dei dipendenti e di tutti gli stakeholder. Astaldi S.p.A. comunica, altresì, di aver ricevuto, in data odierna, dal Tribunale di Roma, Sezione Fallimentare, il decreto che conferma la regolarità formale e sostanziale dell’attestazione da parte del Professor Gatti, del piano concordatario”.

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