Settantotto morti: è il bilancio ufficiale delle proteste che da una settimana infiammano l’Etiopia, in particolare l’Oromia, regione dell’etnia maggioritaria, vittima per tanti anni di emarginazione. 409 manifestanti sono stati arrestati con l’accusa di fomentare la rivolta, ma – secondo le dichiarazioni della portavoce del governo Billene Seyoum – le indagini proseguono e potrebbero portare a ulteriori fermi.

Le violenze etniche non sono una novità in Etiopia e non sono cessate con l’arrivo al potere di Abiy Ahmed, il primo oromo dopo tanti anni di potere tigrino. Anzi: il numero di sfollati interni è cresciuto a tal punto da superare in termini numerici gli altri paesi.

Le manifestazioni contro il premier Ahmed, neoassegnatario del premio Nobel per la pace 2019, erano iniziate il 23 ottobre, quando l’attivista Jawar Mohammed aveva pubblicato un post su Facebook nel quale accusava le forze dell’ordine di attentare alla sua sicurezza (fatto che la polizia nega). Il giorno prima, Ahmed aveva pronunciato un discorso in parlamento, nel quale, senza far nomi, accusava “proprietari dei media che non hanno passaporto etiope” di “fare il doppio gioco”, aggiungendo: “Se ciò mettesse in discussione la pace e la sicurezza, prenderemo delle misure”. Indubbio riferimento a Jawar Mohammed, che ha passaporto statunitense ed è, fra le altre cose, anche un magnate dei media.

Dopo il post di Jawar, le proteste dei suoi sostenitori sono rapidamente degenerate in scontri con connotazione etnico-religiosa, che in tre giorni hanno prodotto – appunto – quasi ottanta morti. Il 31 ottobre, Abiy si è recato nella città di Ambo, 100 km a ovest della capitare Addis Abeba, per tentare di mediare la crisi, e proprio qui è stato accolto da circa 700 sostenitori di Jawar, che lo hanno duramente contestato. Sul versante opposto, Ahmed è criticato per la gestione della protesta, ritenuta “debole”, e per aver atteso fino al 1 novembre per diffondere un comunicato ufficiale. Tali divisioni all’interno della comunità oromo potrebbero alla lunga minare il supporto al premier e al suo programma di riforme. Secondo la portavoce Billene, la violenza sarebbe una strategia scatenata da non meglio precisati “elementi” che si oppongono all’agenda riformatrice di Ahmed, che, giunto al potere, ha liberato i prigionieri politici e favorito un clima più aperto.

Dalla parte del premier si è schierata anche la leggenda dell’atletica Haile Gebreselassie, che ha accusato senza mezzi termini i social: “Se il governo non fa causa a Facebook, lo farò io stesso.” Un’inchiesta dei media etiopi ha in effetti individuato alcuni account utilizzati per diffondere discorsi di odio, in particolare un video nel quale un uomo chiede agli oromo di non mescolarsi alle altre etnie. Video con decine di migliaia di visualizzazioni. L’azienda californiana si è detta rattristata e ha dichiarato il proprio impegno per rimuovere i contenuti di odio, pur ammettendo che resta ancora molto da fare.

Personaggio divisivo – Tutto ruota attorno alla controversa figura di Jawar Mohammed: tra i fautori dell’ascesa di Abiy Ahmed al potere lo scorso anno, di recente è divenuto critico di alcune sue scelte politiche. Jawar, passaporto degli Stati Uniti, dove si è laureato, fin dai tempi dell’università è uno dei coordinatori del movimento giovanile Qeerroo e dall’esilio ne guidava le proteste, tanto da essere considerato “terrorista” dal precedente governo. Rientrato in Etiopia nel 2018 grazie alle aperture di Ahmed verso gli oppositori, è stato però da subito accusato di fomentare le tensioni etniche.

In un’intervista alla Associated Press, Mohammed ha lasciato intendere che potrebbe alzare la posta in gioco candidandosi alle elezioni del prossimo anno. Una figura divisiva, che per alcuni oromo è un eroe, per altri un opportunista a caccia di potere.

Paradossalmente, proprio il nuovo corso inaugurato da Abiy Ahmed con l’apertura ai dissidenti e al pluralismo e la tolleranza contrapposta al pugno di ferro del precedente governo potrebbero giocare un brutto scherzo ai riformatori e favorire i violenti. Complici, secondo alcuni, anche certi media che in modo poco professionale soffierebbero sui temi etnici. Secondo AP, diversi residenti non-oromo sarebbero stati attaccati, le loro proprietà saccheggiate e bruciate. A Adama, una città di 300mila persone, le forze di sicurezza hanno sparato sui manifestanti, colpendo al petto un bambino di 8 anni. La Commissione per i Diritti Umani dell’Etiopia stima che dieci dei 78 morti dei giorni scorsi siano stati vittime proprio degli agenti di sicurezza. Durante gli scontri, si sono registrati anche attacchi alle chiese e almeno a una moschea.

Tutti segnali molto preoccupanti, che potrebbero spingere Abiy Ahmed a rivedere le molte aperture concesse appena giunto al governo. La sfida per il neo premio Nobel è ancora tutta da giocare.

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