Colpire le false cooperative che da nord a sud forniscono manodopera a basso costo alle aziende, non versano tasse e contributi e poi svaniscono nel nulla. E allo stesso tempo garantire allo Stato maggiori entrate per 400 milioni di euro all’anno. È questo l’obiettivo di una delle misure inserite nel decreto fiscale approvato “salvo intese” dal Consiglio dei ministri e collegato alla manovra economica. Come si legge nel Documento programmatico di bilancio inviato alla Commissione Ue, infatti, fra i provvedimenti “di contrasto all’evasione e alle frodi” c’è “l’estensione del regime di reverse charge” – l’inversione contabile dell’Iva per cui a pagarla è l’acquirente e non il venditore – agli appalti nei settori che tradizionalmente fanno largo uso di forza lavoro. Si va dalla logistica ai servizi, fino all’alimentare, alla grande distribuzione e alla meccanica. Nelle intenzioni del governo, questo meccanismo tributario permetterebbe di scardinare un sistema illecito diventato negli anni terreno fertile per caporalato, ‘ndrangheta e grandi evasori. “Le nuove norme sicuramente vanno nella direzione giusta”, commenta con Ilfattoquotidiano.it Francesco Duraccio, segretario del Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del Lavoro. “Ma bisogna stare attenti a non fare di tutta l’erba un fascio. Il rischio è che si colpiscano anche i bravi imprenditori”.

La truffa delle false cooperative: irregolari 6 su 10 Viterbo, febbraio 2019: la guardia di Finanza scopre una maxi frode fiscale messa in piedi da un consorzio di 19 cooperative fantasma, costata allo Stato oltre 20 milioni di euro. Lecco, due mesi dopo: smascherata un’altra rete di coop, responsabile di aver evaso l’Iva per 3 milioni e accusata di aver fornito manodopera a basso prezzo a diverse aziende operanti nella logistica. La storia si ripete anche pochi giorni fa nel piacentino: 2,4 milioni di tasse non pagate e crediti fittizi, 135 lavoratori senza contributi e titolari della coop finiti ai domiciliari. Dal Lazio al Veneto, passando per Piemonte ed Emilia Romagnadove nel 2018 come raccontato da ilfattoquotidiano.it gli operai della Castelfrigo, azienda della lavorazione di carni suine, hanno protestato per mesi per denunciare le condizioni di lavoro inaccettabili – il metodo è sempre lo stesso. Quando un’impresa ha bisogno di operai per uno specifico servizio, piuttosto che sobbarcarsi il costo delle nuove assunzioni decide di affidarsi a una società esterna. A ottenere l’appalto è spesso una cooperativa fittizia, i cui lavoratori sono sottopagati e con poche tutele, mentre il titolare – nascosto da prestanome – non paga l’Iva delle fatture che emette e talvolta incassa dallo Stato pure dei crediti non dovuti. Poi succede che la coop sparisce nel nulla e con essa anche i soldi che erano destinati all’Erario.

Questo fenomeno è esploso negli anni della crisi economica ed è monitorato ogni anno dall’Ispettorato nazionale del lavoro. In base all’ultimo report, nel 2018 su 3.311 cooperative analizzate “ne sono risultate irregolari 1.986 (circa il 60 per cento)”. I controlli hanno permesso di recuperare anche 61 milioni di euro frutto di evasione fiscale, un dato in aumento del 15 per cento rispetto al 2017. Come deterrente per chi decide di mettere in piedi questo tipo di frode è stato introdotto anche uno specifico reato. Si tratta della somministrazione fraudolenta”, depenalizzata dal Jobs Act di Matteo Renzi nel 2016 ma reintrodotta due anni dopo dal cosiddetto decreto Dignità varato dal governo gialloverde. Cosa prevede? Oltre alle normali sanzioni amministrative, un’ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione, a carico sia dell’azienda appaltatrice che del committente. La prima perché tende a inquadrare i lavoratori con stipendi che per settori come il facchinaggio possono sfiorare anche i 4 euro l’ora (non applicando i contratti previsti dalla contrattazione collettiva), il secondo perché di fatto non avrebbe bisogno di esternalizzare la manodopera, ma lo fa solo per risparmiare.

Il piano del governo: inversione contabile e stop alle compensazioni – Secondo i calcoli del governo giallorosso, però, questo sistema illecito causa ogni anno allo Stato un ammanco di 400 milioni, di cui 255 di Iva e 145 milioni di tasse sul lavoro mai versate. Da qui l’idea di mettere in campo un ulteriore deterrente a chi pratica la somministrazione fraudolenta. Non solo di natura giudiziaria, ma anche fiscale. Con la reverse charge prevista dalla legge di bilancio 2020, infatti, l’Iva di questi appalti non sarà più a carico delle cooperative (con il rischio che non venga mai saldata), ma a carico delle società committenti. “In questo modo il Fisco avrebbe la certezza di incassare ciò che gli è dovuto”, spiega a Ilfattoquotidiano.it Duraccio. “Mentre le imprese che esternalizzano la manodopera staranno più attente a rivolgersi solo a cooperative oneste, dato che dovranno pagare l’Iva di tasca propria”. Una soluzione che il segretario del Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del Lavoro giudica positivamente, anche se avverte: “Non bisogna demonizzare a priori l’appalto di servizio, se usato bene è un ottimo strumento di organizzazione industriale. I problemi sorgono quando si cerca di approfittarne sulla pelle dei lavoratori”.

Ma non è tutto. Perché come ulteriore misura per sanare la situazione, l’articolo 5 del decreto fiscale (approvato con l’ormai consueta formula del “salvo intese”, quindi passibile di modifiche) prevede che anche sulle ritenute fiscali dei lavoratori ci sia una sorta di inversione contabile. In sostanza, mentre oggi una cooperativa che ha ottenuto un appalto di servizio sottrae le imposte dalla busta paga dei suoi dipendenti e le versa all’Erario, in base alla nuova legge sarà la società committente (quella che ha richiesto ulteriore manodopera tramite l’appalto) a versarli. È proprio su questo punto, però, che si rischiano di creare più problemi che in passato. “Potrebbe essere molto complicato applicare questo provvedimento dal punto di vista pratico, la mia preoccupazione è che possa scoraggiare chi davvero ricorre agli appalti di servizio con un fine nobile”, chiarisce Duraccio. In realtà sono previste delle eccezioni, come le “imprese che sono già attive da 5 anni o hanno un certo volume di fatturato”, ma a suo parere la procedura dovrà essere semplificata durante l’iter di conversione in legge del decreto per essere davvero efficace.

“Serve anche una norma contro il dumping contrattuale” – “Un’ultima criticità riguarda il divieto, per le società appaltatrici, di estinguere i contributi previdenziali dei propri dipendenti attraverso il meccanismo di compensazione di eventuali crediti vantati con lo Stato”, aggiunge. “L’obiettivo è quello di evitare false compensazioni, ma così si rischia di danneggiare chi invece agisce in modo corretto. Piuttosto si potrebbero introdurre degli enti certificatori che garantiscano quali aziende si comportano correttamente e quali no”. Proposta che si accompagna a quelle già presentate dal Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del Lavoro al ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli. “A nostro parere è necessario un ulteriore provvedimento che impedisca a chi ottiene gli appalti di praticare dumping contrattuale”, conclude Duraccio. “Se una cooperativa manda una squadra di operai nello stabilimento di un’altra impresa, quella squadra deve avere lo stesso contratto applicato dai lavoratori dello stabilimento in cui è chiamata a lavorare. In questo modo si ricorrerebbe alle esternalizzazioni solo per motivi organizzativi, dato che a livello economico costerebbe tanto quanto assumere direttamente dei dipendenti”.

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