All’ultimo compleanno per i 79 anni, a luglio, aveva ricevuto dopo tanto tempo una telefonata dall’amico Silvio Berlusconi. Auguri, chiacchiere di circostanza, ma nulla: qualcosa si era rotto definitivamente. Paolo Bonaiuti non era più un berlusconiano. Aveva questa debolezza, che gli amici ancora oggi, dopo la notizia della morte, gli accreditano: la lealtà. Una lealtà spesso cieca, eccessiva, che lo rendeva quasi una comparsa teatrale (la figura del servo contento di servire) agli occhi degli oppositori. Una lealtà che vide tradita quando si vide scaricato dalla mattina alla sera da Silvio Berlusconi. Era il 2014, tempi di Patto del Nazareno. Il presidente di Forza Italia iniziava a girare con nuove facce attorno: Maria Rosaria Rossi detta “la badante”, Valentino Valentini il diplomatico e Deborah Bergamini l’ex donna Rai. Paolo Bonaiuti, il portavoce del Cavaliere sin dal 1996, iniziava a essere di peso. “Venne fatto fuori dalla mattina alla sera, per essere sostituito da persone che non erano giornalisti. Si vide tolto l’ufficio che aveva a Palazzo Grazioli nel giro di poche ore. Facemmo gli scatoloni in fretta e li portammo in una cantina provvisoria”, racconta Giorgio Lainati, ex parlamentare berlusconiano e primo capo ufficio stampa di Forza Italia, l’uomo che per vent’anni è stato al fianco di Bonaiuti. “Paolo non se n’è mai capacitato. Viveva la lealtà più di tutti”.

Specie perché quella lealtà se l’era scelta a un certo punto della vita. Mica fu sempre berlusconiano, il più berlusconiano di tutti. Non fu neanche sempre politico. Partì dalla sua Firenze per Milano, dove iniziò una carriera da giornalista. La professione la scelse dopo aver letto un numero di Topolino, in cui “Topolino, con Pippo e Pluto, rileva un giornale di una cittadina del West tormentata dalla banda Gambadilegno. Allora Topolino con il giornale e queste news riesce a riaffidare la città a un grande sindaco e lui stesso diventa un grande giornalista”. Bonaiuti lavorò prima a Il Giorno, poi a il Messaggero. Inviato, seguì la prima Guerra del Golfo. Editorialista e vicedirettore, raccontò l’avvento del berlusconismo con toni piuttosto critici. E quando nel 1994 Emilio Fede invitò il Cavaliere a cacciare Indro Montanelli da Il Giornale (cosa poi avvenuta), lui scrisse parole di fuoco contro il conflitto d’interessi che avrebbe difeso nei successivi vent’anni. “Questo è il primo esempio pratico del livello di ‘indipendenza’ che potrebbe crearsi all’interno dell’impero di Berlusconi”. E ancora: “Guai a chi si azzardasse a uscire, anche per un attimo, dal coro”. Qualche mese dopo, la nuova vita. Non è chiaro come Bonaiuti conobbe Berlusconi. È certo tuttavia che se ne innamorò. Inizia una carriera ventennale in Forza Italia, come deputato, come sottosegretario, ma soprattutto come portavoce del Presidente. Gli italiani l’hanno visto in tv più di Roberto Baggio. Solo che non ci hanno fatto caso: era l’uomo che stava sempre un passo dietro a Berlusconi, quando questo parlava davanti alle telecamere. Un po’ più sobrio del Capezzone che verrà; un po’ più sorridente di Maria Rosaria Rossi; e molto più flemmatico dell’allora lealissimo Emilio Fede.

Le passioni dell’uomo, oltre a Berlusconi, erano solo due: le cravatte e il buon cibo. Durante la settimana se ne andava a Roma, da Tullio, vicino via Barberini. La domenica se ne partiva per Fregene assieme alla moglie Daniela, a mangiare pesce dal Mastino, locale frequentato dai giornalisti che contavano. Per il resto, Bonaiuti spendeva soldi in libri. “La sua casa a Firenze era piena di volumi dal valore inestimabile. Sapeva a memoria l’intera Divina Commedia. Parlava inglese e francese”. Nell’ufficio a Palazzo Grazioli teneva in evidenza una foto con Margaret Thatcher, con cui aveva conversato amabilmente in inglese. Ogni sera, invece, conversava al telefono con pochi giornalisti dei quotidiani nazionali. Berlusconi ha detto questo, Berlusconi vuole fare quello. Negli anni ha paragonato il suo leader a Fausto Coppi, a John Wayne e persino a Rocky: “Un pugile che non si dà mai per vinto. Tutti lo vogliono”. Più in generale, ha cercato di farlo passare per un perseguitato, “con 109 processi e nessuna condanna” (in realtà erano 16, di cui molti finiti in prescrizione, uno con la condanna definitiva per frode fiscale, altri in corso e altri ancora con assoluzione per intervenuta legge ad personam). Lealissimo, nel 2000, a bordo della “Nave azzurra” in tour per le Regionali, cadde e si ruppe un polso e una spalla. Ma decise di rimanere a bordo, armato di antidolorifici, pur di aiutare l’amico Silvio.

Tutto inutile. Nel 2014 Bonaiuti annuncia di “lasciare” Forza Italia, per ripiegare nell’allora Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano. Parla di “divergenze politiche e incomprensioni personali”, ma non lo crede nessuno. È stato abbandonato malamente dall’uomo che qualche anno prima lo incensava come “il mio mentore” o “la mia suocera”. Gli ultimi anni sono stati all’ombra di una creatura mai veramente nata (il Ncd) e della malattia affrontata lontano dai riflettori. Negli ultimi mesi trovava ogni giorno la forza di messaggiare con gli amici ed ex colleghi, per commentare i fatti politici. La passione per la politica, quella, non l’ha mai abbandonato.

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