“Siamo un partito respingente che non riesce a aggregare, anche i sindaci denunciano questa difficoltà. In fretta dobbiamo mettere mano a noi stessi, trovare le forme per discutere. Il deficit di cultura politica è questo, dicevamo che bisognava discutere, ma non riuscivamo a abbattere le gabbie”. L’analisi a tratti impietosa della situazione odierna del Partito democratico è arrivata direttamente da Nicola Zingaretti, che ha parlato nella replica finale a conclusione della Direzione nazionale. Il segretario dem poi ha aggiornato i lavori dei vertici del Pd a martedì 1 ottobre, giorno in cui dovranno essere discusse le decisioni sui nuovi assetti interni al partito, visto che sia gli esponenti della maggioranza che quelli della minoranza hanno affermato che gli assetti nati dal congresso sono ormai superati dopo la nascita del governo e la scissione di Renzi.

Al netto degli equilibri interni, però, è proprio l’uscita dell’ex Rottamatore a tener banco al Nazareno. Zingaretti non lo ha nascosto: “Più della scissione, la nascita del governo ci pone delle domande nuove rispetto alla dinamica congressuale, chiediamo a tutte e a tutti di starci, apriamo porte e finestre” ha detto, sottolineando che “convivono tra noi idee diverse, dobbiamo trovare tra noi vie nuove, senza drammatizzare. Io sono segretario da sette mesi – ha aggiunto – noi tutti insieme abbiamo fatto delle scelte, insieme abbiamo reagito alla retorica dell’inutilità del Pd. In questi sette mesi noi non ci siamo fatti dettare l’agenda, perché insieme abbiamo affrontato le elezioni europee con il massimo dell’apertura“. Per quanto riguarda i rapporti con i nuovi alleati di governo, il segretario è stato chiaro: “C’è il tema di come prendere le misure a M5s: non dobbiamo contemplare le differenze, fotografarle come ha fatto il governo precedente – ha sottolineato – Noi dobbiamo avere un approccio unitario che affronta le differenze e ci si catapulta dentro. E dobbiamo verificare in ogni territorio la possibilità di questo campo, ma si deve basare sulla praticabilità di un processo – ha spiegato – I rischi ci sono tutti ma vedo le possibilità. È un passaggio stretto ma abbiamo diviso due populismi che insieme erano molto pericolosi”.

Per quanto riguarda la scissione di Renzi, Zingaretti ha parlato di “scelta sbagliata” perché “tra i motivi sta il fatto che di fronte all’enormità dei problemi è sbagliata e antiquata la divisione dei compiti, uno copre di qua e uno di li. Semmai serve più Pd, cuore pulsante delle culture per un di più di innovazione“. Quella del segretario è una posizione molto simile a quella di Lorenzo Guerini. Il ministro della Difesa, con un passato da renziano osservante e un presente da membro convinto del Pd, ha raccontato che “di fronte a questa scissione non possiamo fare spallucce e interpretarla come segno del destino. Chi oggi è in difficoltà sui territori – ha detto – va ascoltato per raccogliere le sue inquietudini evitando di favorire sentimenti e decisioni diverse”. Dopo aver raccontato il suo personale disagio per l’accaduto e sottolineato che lo stesso disagio l’aveva vissuto quando fu Bersani a uscire dal Pd, Guerini ha bocciato l’iniziativa di Renzi: “Questa scissione credo sia un errore imperdonabile. L’ho detto fin dall’inizio – ha sottolineato – Sbagliata perché non ne capisco le ragioni politiche, sbagliata perché indebolisce il nostro campo e un errore perché trovo sbagliata una divisione dei compiti che va contro la natura e l’identità stessa del Pd”. La scissione, ha insistito “ha avuto effetti che forse non si sono ancora dispiegati del tutto, in particolare sui territori. A chi critica le correnti ricordo che se non ci fosse stata una corrente forte gli effetti sarebbero stati ben peggiori”.

Per quanto riguarda il futuro prossimo del partito, Guerini è stato chiaro: “Siamo in una fase straordinaria: in un mese siamo passati dall’opposizione al governo e abbiamo subito una scissione – ha spiegato – Ritengo imprudente aprire un congresso straordinario ma occorre dare il senso che affrontiamo questa fase con strumenti straordinari. È una fase che oggettivamente cancella l’esito del congresso”. “Ora però è necessario aprire una fase nuova – ha proseguito il ministro – sui contenuti e sullo strumento. Coi 5 stelle abbiamo idee diverse, differenze che non scompaiono all’improvviso. Per questo dobbiamo fare uno sforzo corale per questa fase. Occorre rinnovare lo strumento, la velocità delle scelte, puntare sul coinvolgimento come valore essenziale per affrontare la sfida”.

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