Discontinuità“, ripete da un paio di giorni Nicola Zingaretti. Anche sui nomi, a partire dal presidente del Consiglio dimissionario Giuseppe Conte, per dare anche l’immagine – agli occhi dell’opinione pubblica – oltre che la sostanza di un esecutivo rinnovato. Per Zingaretti sul Conte bis ci sono “zero” margini di trattativa: “Conte non va bene: non si può dire che gli altri, ovvero Salvini, hanno sbagliato, e riprendere a governare come se nulla fosse cambiando solo alleato”.

Discontinuità, dunque, ma non per tutti. Il segretario del Partito democratico in un’intervista al Messaggero assicura: “Non ho alcun veto su Di Maio al governo. Ma non si potrà far scendere in campo la stessa squadra che ha perso già una partita”. Se fino a ieri, nelle prime, difficili trattative tra Pd e M5s, si ragionava su uno schema che escludeva dalla composizione del nuovo eventuale esecutivo tutti i ministri M5s uscenti ma anche tutti gli ex dei governi renziani, ora la linea di discussione sembra già cambiata. A partire da Di Maio, ma questo ragionamento riguarderebbe anche i ministri del governo Conte a lui più vicini, cioè il guardasigilli Alfonso Bonafede e il titolare delle Riforme Riccardo Fraccaro. Dall’altra parte, secondo quello che racconta lo stesso Messaggero, la riproposizione di nomi che a prima vista sembrerebbero indigeribili per un pezzo di Cinquestelle, come l’ex ministro dell’Economia Piercarlo Padoan, Dario Franceschini e Graziano Delrio. In quest’ultimo caso Zingaretti potrebbe così “conquistare” (nella partita interna al partito) almeno il posto capogruppo alla Camera, attualmente ricoperto proprio dall’ex sindaco di Reggio Emilia, scettico e autonomo ma pur sempre renziano.

Ma cosa significa tenere Di Maio nel governo? Lasciargli Lavoro e Sviluppo Economico o trasferirlo, come dice ancora il Messaggero, al ministero dell’Interno? Il capo politico del M5s ha vissuto gli ultimi 14 mesi in un posto piuttosto complicato, con le deleghe più difficili, alle prese con le crisi industriali, l’avvio del reddito di cittadinanza, la riforma dei centri per l’impiego da completare. Tuttavia i risultati che almeno secondo l’Istat alla fine gli hanno dato ragione nelle caselle di occupati, disoccupati e in particolare stabilizzazione dei posti di lavoro. Al contrario sarebbe certo più prestigioso, ma anche altrettanto complicato gestire il Viminale senza fare quello che ha fatto per 14 mesi Matteo Salvini, cioè minacciare di chiudere i porti, bloccare navi al largo degli scali siciliani, costruirci sopra una buona parte della propria comunicazione politica. Con il nuovo governo a direttrice Pd-Leu niente di tutto questo potrebbe essere possibile.

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