Il Liverpool di Klopp, il City di Guardiola, lo United, il Chelsea, il Tottenham: la Premier League è da anni il gotha del calcio mondiale, dominante dal punto di vista sportivo, con quattro squadre a dividersi le coppe europee in finale nella scorsa stagione, ed economicamente, con introiti triplicati rispetto all’Italia. Ma se la Premier garantisce somme importantissime anche a club piccoli, a differenza di quanto avviene in Italia, basta allontanarsi dalla massima serie inglese per scoprire una situazione di crisi, amministrazioni controllate e situazioni debitorie abnormi, in questo caso molto simili all’Italia.

Il Bury Fc è l’ultimo esempio: squadra che milita in League Two (la quarta serie) con 134 anni di storia nei campionati professionisti, due Fa Cup vinte e qualche record (1000 gol tra tutte le serie inglesi) scomparirà nel giro di tre giorni se la proprietà non riuscirà a dare garanzie economiche, ormai quasi impossibili, tali da indurre la Efl (English Football League) a dare il via libera all’avvio della stagione. Con 23 milioni di sterline di debiti, calciatori non pagati da mesi e ormai fuggiti altrove e nessuna schiarita all’orizzonte la situazione appare compromessa.

In acque molto simili naviga il Bolton, oggi in League One (terza serie): squadra che quindici anni fa arrivava stabilmente in Europa, vantando calciatori come Candela, Hierro, Diouf, Jay Jay Okocha. Poi il destino comune a tanti: una stagione sbagliata, la retrocessione in Championship e il drastico calo di introiti da diritti tv con l’inizio delle difficoltà finanziarie. Difficoltà che hanno portato i Wanderers ad entrare in administration, l’amministrazione controllata destinata alle società di calcio che non riescono a pagare i debiti, beccandosi pure una cospicua penalizzazione da scontare in campionato. E infatti il Bolton ha iniziato la stagione con 12 punti in meno in classifica e una squadra composta di soli ragazzini saliti alla ribalta nell’ultima settimana per aver fermato il Coventry sullo 0 a 0, ottenendo uno storico punto. Storie comuni che si incrociano: il Coventry, già in administration nel 2013, stava rischiando di nuovo grosso all’inizio dell’anno per problemi burocratici relativi allo stadio.

Una lista lunga, dunque, che comprende anche nomi eccellenti: il Leeds su tutti, che a inizio 2000 era in semifinale di Champions League anche grazie ad acquisti e ingaggi dispendiosi, finanziati con grossi prestiti che il presidente avrebbe ripianato con gli introiti della competizione europea, se raggiunta. Politica suicida che portò all’inevitabile crisi dopo una mancata qualificazione, con l’addio ai tanti campioni (Rio Ferdinand, Woodgate, Smith) e la retrocessione in Championship, prima, e in League One, poi.

Così il Portsmouth, che riuscì addirittura ad arrivare in finale di Fa Cup mentre retrocedeva sul campo in Championship per via della penalizzazione di 10 punti legata all’amministrazione controllata, con il lento declino fino in quarta serie.

Dunque, le squadre inglesi, specie le piccole, che hanno la fortuna di arrivare in Premier a spartirsi i soldoni con le big si trovano di fronte a un dilemma: spendere quei soldi per essere competitivi, col rischio di sbagliare (guardare le italiane che aspettano medie e piccole inglesi per piazzare esuberi a prezzi altissimi), retrocedere e finire in bancarotta, oppure non spendere, col rischio però di non essere competitivi, retrocedere, e finire in bancarotta.

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