Dopo il notevole esordio rappresentato dal Libro dei Fulmini, Matteo Trevisani ha alzato l’asticella con il Libro del Sole. I due romanzi (entrambi editi da Atlantide) lo impongono come uno degli scrittori più interessanti degli ultimi 30 anni in Italia, non solo, e non tanto, per l’alto pregio stilistico che li impreziosisce, ma per la profondità e l’umile amore per la sapienza con cui l’autore affronta temi filosoficamente cruciali, quali la ricerca della Verità, il significato dell’Amore, il senso di una vita dedicata alla Conoscenza.

Eppure (o forse proprio per questo), nonostante l’altezza esoterica delle tematiche affrontate, Trevisani crea dei romanzi scevri da astratte pedanterie e sterili elucubrazioni: le sue storie d’amore sono traboccanti di passione e strazio, le sue trame avvincenti e imprevedibili, in un piccolo prodigio d’equilibrio narrativo. Ecco, l’equilibrio: meta sapienziale, saggezza raggiunta attraverso la via degli eccessi nel celebre Proverbi Infernali di William Blake, vero segreto dell’arte del narrare.

Trevisani sa che la conoscenza archetipica è alla base delle grandi narrazioni popolari: “il viaggio dell’eroe”, affrontato dallo studioso Joseph Campbell, non solo si ritrova nell’epica e nel racconto sacro ed esoterico (da Ercole a Edipo, da Krishna a Gesù, da Enea a Pinocchio), ma dà forma anche a opere di massa e di culto nella contemporaneità; George Lucas per Guerre stellari si era programmaticamente ispirato agli studi di Campbell, ma pensiamo anche a film come Donnie Darko e Matrix, o a serie tv come Lost, True Detective o Stranger Things. Il pregio massimo di Trevisani, però, è quello di raggiungere la difficile conciliazione tra godibilità letteraria e rispetto delle tematiche trattate. Buttate i libri di Dan Brown, regalate Il nome della Rosa al vostro nipotino che inizia le prime letture: i romanzi di Trevisani non sono né spettacolari giocattoloni pieni di inesattezze, né vertiginosi luna park intellettuali colmi di disincantato cinismo. Sono opere iniziatiche.

Libro dei Fulmini e Libro del Sole sono insieme speculari e convergenti, come qualsiasi lettore consapevole può cogliere dall’immediata comparazione di elementi comuni e divergenti: entrambi hanno protagonisti che nel corso della storia conosceranno (come direbbe Socrate) e diverranno (come direbbe Nietzsche) se stessi, attraverso storie d’amore avvinte da intrecci karmici, in cui l’esperienza erotica è portale verso dimensioni di coscienza ulteriori. Storie d’amore che hanno la forma e il senso di un itinerarium spirituale, nel ritmo alchemico di unione, smarrimento e ricomposizione nell’unità primordiale dell’Androgino (“From Kether to Malkuth e ritorno, come nel sentiero cabalistico cantato da David Bowie). Storie che vedono la città di Roma come grande protagonista, teatro di sincronicità ineludibili, forma archetipica e mappa iniziatica in cui ricomporre i “frammenti di un insegnamento sconosciuto” e interiore, luogo eletto dove compiere la propria trasmutazione alchemica, un sentiero esoterico per visibilia ad invisibilia composto da monumenti disseminati come simboli illuminanti, da ripercorrere alla ricerca dell’Uno. Non a caso il protagonista maschile del primo romanzo appare nel secondo in un cammeo rivelatore, quale inconsapevole trickster della vicenda successiva (narrata dalla protagonista femminile).

Entrambi i romanzi sono come ordinati sotto il comandamento della tradizione ermetica enunciato nella Tavola smeraldina: “Ciò che è in alto è come ciò che è in basso”; se il primo romanzo iniziava con la rivelazione “A Roma tutto quello che c’è di vero sta sottoterra”, il secondo è un invito a esplorare il cielo della Roma esoterica (il cui fascino fu mostrato alle masse nello splendido sceneggiato tv Il segno del comando), seguendo lo slancio mistico degli obelischi, fino a scoprire il disegno dell’intera città come una complessa mappa astrologica. In entrambi i romanzi appaiono figure di maestri, guardiani della conoscenza, che guidano i protagonisti nelle loro tappe iniziatiche; tra le tante dotte influenze dei libri di Trevisani (dalla grande sintesi rinascimentale di magia, alchimia e cabala di Pico della Mirandola, Marsilio Ficino e Giordano Bruno, passando per Athanasius Kircher, fino a studiosi moderni come Jung e Zolla) spicca Eraclito, il grande padre oscuro della conoscenza occulta: non solo evocato fin dai titoli dei libri (celebri le sue sentenze “il fulmine governa ogni cosa”e “Il fuoco verrà e si impadronirà di tutte le cose”) ma omaggiato nel corpo stesso delle trame, fondate sul necessario divenire e la perpetua lotta dei contrari.

Le opere sono dichiaratamente allegorie alchemiche: l’Aurora consurgens che ha ispirato l’autore (trattato addirittura attribuito a Tommaso d’Aquino) è figura della Grande Opera, come l’incendio della biblioteca di filosofia che apre il romanzo, subito dopo l’incontro tra i protagonisti, Eva (acronimo astronomico e archetipo gnostico) e Andrea (una cometa vivente, più sfuggente dell’Adorabile di Rimbaud), è prefigurazione allegorica del destino dei protagonisti: la fusione incarnata di Amore e Conoscenza. Siamo davanti a due piccoli grandi capolavori di psicologia alchemica, direbbe Hilman, due ardite esplorazioni del Mysterium coniuctionis, eredi umili quanto coscienti di una gloriosa tradizione, la cui ispirazione è riassunta nella citazione memorabile di T.S.Eliot: “Non smetteremo di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta”.

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