Con una mano si aiutano i territori dove verranno chiuse le centrali a carbone e, con l’altra, si gettano le basi per premiare le imprese inquinanti con quello che, senza regole chiare e paletti, rischia di trasformarsi in uno sconto in bolletta, tutto a favore delle fonti fossili. Scelte che, quindi, vanno nella direzione opposta a quella delle dismissioni. Sono queste le due facce dell’articolo 14 del dl Imprese, tra quelli approvati “salvo intese” dal Consiglio dei ministri il 6 agosto e quindi a conti fatti modificabile, criticato duramente dalla deputata di Leu, Rossella Muroni, e da Legambiente. Perché se da un lato sono previsti 20 milioni all’anno, dal 2020 al 2024, per riqualificare i lavoratori delle centrali da dismettere, altri 250 milioni andranno alle industrie (inquinanti) che rischiano di delocalizzare a causa dell’impatto che il sistema di scambio di quote di emissione di gas serra (Ets, Emission Trading System) ha sui prezzi dell’energia.

Le critiche di Muroni (Leu) – “Ridare indietro dei soldi e, quindi, premiare le imprese inquinanti equivale a vanificare il sistema Ets e si potrebbe configurare come aiuto di Stato. Insomma fatta la legge, trovato l’inganno”. La deputata di LeU, Rossella Muroni, ha così commentato a ilfattoquotidiano.it la misura prevista dalla bozza di decreto circolata poco prima che il dl Imprese fosse approvato dal Consiglio dei ministri. Molto critico anche Mauro Albrizio, direttore dell’Ufficio europeo di Legambiente, secondo cui la misura rischia di essere “uno sconto in bolletta” per le aziende che, senza obblighi messi nero su bianco, potranno utilizzare quelle risorse per continuare a investire sulle fonti fossili. Piove sul bagnato, visto che in Italia nel 2017 sono stati spesi 18,8 miliardi tra finanziamenti diretti e indiretti al consumo o alla produzione di idrocarburi.

Come funziona il mercto Ets – La premessa è d’obbligo e riguarda il mercato Ets, introdotto dall’Ue per spingere le grandi imprese a ridurre le emissioni di gas. Fissato un tetto alle emissioni di alcuni inquinanti, in primis il biossido di carbonio, le industrie ricevono le ‘quote di emissione’, ognuna delle quali autorizza a emettere una tonnellata equivalente di Co2. Si possono acquistare quote poste in vendita sul mercato Ets da altre imprese che, inquinando di meno, non hanno utilizzato i loro diritti. L’asta è un meccanismo cardine per l’assegnazione delle quote. Nel sistema sono poi previste agevolazioni per i settori a elevato rischio di carbon leakage, ossia esposti al rischio delocalizzazione a causa dei costi del carbonio verso Paesi con politiche ambientali meno rigorose. E mentre con Carbon leakage diretto si intende il rischio di delocalizzazione delle imprese europee a causa degli alti prezzi del carbonio, per Carbon leakage indiretto si fa riferimento all’aumento dei prezzi dell’elettricità, causata dagli alti prezzi del carbonio utilizzato dalle imprese.

Cosa dice la bozza del decreto – L’articolo 14 del dl Imprese, al comma 2, istituisce “presso il Ministero dello Sviluppo economico il ‘Fondo per il carbon leakage indiretto’, per il sostegno (previsto dalla direttiva Ets, ndr) dei settori e sottosettori considerati esposti a un rischio elevato di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio a causa dei costi connessi alle emissioni di gas a effetto serra, trasferiti sui prezzi dell’energia elettrica”. Le modalità di gestione del Fondo sono regolamentate “con uno o più decreti di natura non regolamentare da adottare entro 90 giorni dall’entrata in vigore della presente disposizione dal Ministro dello Sviluppo economico”, di concerto con i ministeri dell’Ambiente e dell’Economia. Modificabile quindi, ma allo stato è questo quanto prevede la nuova normativa.

Come viene alimentato il Fondo? – Viene spiegato nel comma 1: “La quota dei proventi derivanti dalle aste eccedente il valore di 1.000 milioni di euro (tetto prestabilito di entrata, ndr)” è destinata, nella misura massima di 250 milioni di euro all’anno al ‘Fondo per il carbon leakage indiretto’ e per una quota di 20 milioni all’anno per gli anni dal 2020 al 2024 a un Fondo da istituire presso il Mise. “La norma – viene spiegato nella relazione tecnica che accompagna il decreto – non comporta oneri aggiuntivi per la finanza pubblica”. Perché le risorse arrivano “dalle maggiori entrate che deriveranno nei prossimi anni dalle aste Co2”. Già nel 2019, sulla base dei proventi derivanti dalle aste del 2018, pari a 1.452 milioni di euro “le entrate complessive statali sono aumentate di circa 800 milioni di euro rispetto al 2017 e tale aumento risulterà crescente – si prevede – nei prossimi anni”.

“Restano i dinosauri, arrivano sconti in bolletta” – Per la deputata Muroni, ex numero uno di Legambiente, “destinare fino 250 milioni ricavati dalle aste della Co2 per tagliare il costo dell’energia alle imprese soggette alla normativa europea Ets, cui sono soggette le imprese inquinanti, è un paradosso e una distorsione tutta italiana”. Nella scheda tecnica si ricorda che, “come riconosciuto anche dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, le imprese italiane sottoposte a Emissions Trading “risentono ormai da anni della pesante distorsione del mercato interno” dovuta alla mancata compensazione a livello nazionale dei costi indiretti delle quote trasferiti sui prezzi dell’energia elettrica.

Per Albrizio sono troppe le zone d’ombra lasciate dal testo: “Si rimane nel vago, rinviando tutti i decreti attuativi, invece servono paletti chiari, perché quelle risorse hanno senso e sono strategiche solo se servono a incentivare misure finalizzate alla maggiore efficienza energetica dei processi produttivi e all’utilizzo di fonti rinnovabili”. Il rischio? “Che si riduca tutto a uno sconto in bolletta per le industrie energivore, quelle che emettono di più e devono acquistare più quote”. “Che siano pure finanziate – sottolinea il direttore dell’Ufficio europeo di Legambiente – ma non per continuare a emettere Co2, quanto per dire addio a impianti dinosauro e investire sulle rinnovabili”.

Il fondo contro la crisi occupazionale – Il fondo da 20 milioni all’anno dovrebbe invece finanziare interventi di riqualificazione e sviluppo dell’occupazione locale nelle aree dove si trovano le centrali di generazione a carbone da dismettere, ai sensi del Piano nazionale integrato Energia e Clima. Parliamo delle centrali di Monfalcone, Brescia, Fusina, La Spezia, Bastardo, Torrevaldaliga Nord, Brindisi Sud, Fiumesanto e Sulcis. Secondo Rossella Muroni “ha senso ed è condivisibile un fondo per riqualificare e ricollocare i lavoratori coinvolti dalla chiusura delle centrali a carbone”. Per Mauro Albrizio “venti milioni all’anno, se spesi bene, potranno rappresentare verosimilmente il cofinanziamento nazionale di misure europee per la riconversione delle regioni interessate dall’abbandono del carbone”. Insomma, nel decreto si individua lo strumento legislativo per intercettare le risorse comunitarie “anche se solo il Piano nazionale integrato – aggiunge Albrizio – ci dirà se le risorse sono sufficienti o serviranno ulteriori finanziamenti pubblici o privati”. In questo caso, però, la politica gioca una partita importante. “I territori eserciteranno pressioni – commenta – e dai territori arriva il consenso elettorale”.

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